Una scena del Pinocchio del Teatro del Carretto (Foto: ilippo Brancoli Pantera)

Una scena del Pinocchio del Teatro del Carretto (Foto: ilippo Brancoli Pantera)

Nero, polveroso, segnato dal passaggio del tempo e degli eventi: lo spazio scenico creato da Graziano Gregori per il Pinocchio, nell’adattamento e con la regia di Maria Grazia Cipriani, è stato al Teatro Vascello di Roma, dal 6 all’11 febbraio 2024, dopo un viaggio iniziato ormai 18 anni fa. Dopo il debutto nel 2006, al Teatro del Giglio di Lucca, l’allestimento tratto dal celeberrimo racconto di Collodi ha toccato le piazze più importanti (tra cui la Biennale di Teatro, a Venezia, nel 2017), non solo italiane, e ha vinto alcuni dei premi prestigiosi, come (i fu) Olimpici del Teatro, nel 2009, per le scene di Gregori, e il Premio del pubblico come miglior spettacolo al XIX Baltic House International Theatre Festival a San Pietroburgo, sempre nel 2009.

Le fiabe feroci del Teatro del Carretto

Il Teatro del Carretto porta avanti sin dalla sua fondazione, nel 1983, una ricerca rigorosa sui grandi testi dell’epica e della favola, in bilico tra il sogno e la concretezza del lavoro teatrale. Se Biancaneve, la prima messa in scena della compagnia, era un’indagine sulla crudeltà primitiva della fiaba, gli spettacoli successivi hanno proseguito la rilettura di classici in un’ottica sempre più feroce di discesa nell’io. Pinocchio,, ne è un esempio perfetto: sul palco del teatro capitolino, oggi come nel 2006, gli attori Giandomenico Cupaiuolo nei panni del burattino, Elsa Bossi, la Fatina Turchina, e Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Carlo Gambaro, Ian Gualdani, Filippo Beltrami, a cui spetta il compito di indossare le maschere del bestiario che popola le pagine collodiane, dai conigli alla lumaca, dai ciuchini fino al gatto e alla volpe; animali che –come è noto – segnano la storia e i momenti salienti del passaggio da burattino a bambino in carne e ossa.

 

Giandomenico Cupaiuolo nei panni del burattino tra le maschere del bestiario collodiano (Foto: Filippo Brancoli Pantera)
Giandomenico Cupaiuolo nei panni del burattino tra le maschere del bestiario collodiano (Foto: Filippo Brancoli Pantera)

 

Pinocchio tra Collodi, Disney e Garrone

Siamo lontani dalle atmosfere zuccherose che Walt Disney volle dare alla favola di Carlo Lorenzini per la sua versione animata, o da quelle malinconiche della versione televisiva di Luigi Comencini (trasmesso la prima volta nel 1972), o, ancora, da quelle fantasy e realistiche insieme dell’adattamento cinematografico che ne ha fatto Matteo Garrone (il suo Pinocchio, del 2019, è riuscito a vincere 5 David di Donatello e ad arrivare alla Notte degli Oscar, con la candidatura dei costumi di Massimo Cantini Parrini e il trucco di Mark Coulier, Dalia Colli e Francesco Pegoretti); Maria Grazia Cipriani scegli un tono cupo e orrorifico per raccontare le avventure di un burattino in continuo dialogo con il padre Geppetto, che non appare mai e lo lascia in balia di sé stesso e di una serie mostruosa di presenze mascherate. A far da contrappunto alle vicende, alcune famose arie, come Vesti la giubba, dai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, o O mio babbino caro, dal Gianni Schicchi di Giacomo Puccini.

 

Guarda il trailer del Pinocchio di Garrone

 

La ricerca di un’assenza

Tra le tante interviste che la regista ha rilasciato in questi quasi due decenni, si legge in un articolo di Teatro e Critica: «Da bambina non ho mai amato il romanzo di Collodi. Poi ho ascoltato per la prima volta l’aria O mio babbino caro, dal Gianni Schicchi di Puccini, intonata da Maria Callas. È in questo brano che è nato il mio Pinocchio; il brano è un leitmotiv all’interno del nostro allestimento, un tema decisivo e ricorrente. Perché è tutto lì, in questa ricerca di un’assenza. L’unica cosa di Geppetto presente sul palco è soltanto una giacca, che il burattino incontra e accarezza».

Nella pancia del Pescecane

Pinocchio, burattino tra le maschere, è costretto dentro a una gabbia scenica, delimitata da quinte armate in cui si aprono porte e finestre che collegano il mondo di fuori con il mondo di dentro, capace di evocare con pochi e suggestivi oggetti ora la città di Acchiappa-Citrulli, ora la Grande Quercia dove viene impiccato, il Campo dei Miracoli dove sotterra i 5 zecchini, la casa della Fata Turchina, il carro di Mangiafuoco, il Paese dei Balocchi, la pancia del Pescecane: in ultima analisi, la mente in cui continua a ripetersi le avventure che ha vissuto nel disperato tentativo di ricordare e trarre esperienza dal proprio passato; maschera teatrale lui stesso, che in sé contiene commedia, tragedia e melodramma. A dare un suono a questa sorta di sogno spaventoso, Hubert Westkemper, amplificato dal gioco di luci curate da Angelo Linzalata.

Un viaggio che continua

È un grande piccolo gioiello di drammaturgia questo Pinocchio del Teatro del Carretto, che funziona come un meccanismo ben oliato in grado di emozionare e avvincere nelle note di una storia più che nota, con un lavoro minuzioso sul corpo dell’attore, sulla messa in scena artigianale e indovinata, sulle paure umane e, in ultima analisi, sulla potenza e la condanna insieme del fare teatro. Il suo viaggio, dopo il Vascello, si è preso una pausa, per ritrovare il suo cammino in autunno: sarà un’occasione da non perdere da chi non avesse avuto ancora la possibilità di vederlo.

 

 

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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