Brezza tra i filari della tenuta (Foto: Marina Maffei)

Riportare il fattore umano nei campi. Dialogo con Francesco Brezza, contadino e viticoltore

A San Giorgio Monferrato, vicino Alessandria, la Tenuta Migliavacca è pioniera del biodinamico in vigna. Un’oasi in cui la cura costante della terra con tecniche sostenibili contiene i danni della siccità

Nei vigneti, i filari si rincorrono regolari lungo crinali inondati di fiori. A San Giorgio Monferrato, in quel Piemonte dove la siccità sta mettendo a dura prova l’agricoltura, la Tenuta Migliavacca è una piccola oasi di biodiversità. A guidarla è Francesco Brezza, che ha raccolto l’eredità dal padre coniugando lavoro e rispetto per la natura, uniti a un grande amore per il territorio. Contadino, come si definisce con orgoglio, Brezza trascorre le sue giornate tra i campi e le vigne della sua attività, una azienda agricola a ciclo chiuso, certificata da Demeter e dove da sempre si utilizzano le pratiche dell’agricoltura biodinamica.

La cura che mette nei suoi terreni fa anche da argine alla carenza d’acqua che affligge da tempo il nord ovest d’Italia.

 

Francesco Brezza
Francesco Brezza, che ha seguito le orme del padre Luigi nell’azienda agricola

 

«Bisogna arrivare ad affrontare la siccità con un terreno che sia a essa preparato, perché se si interviene in corso d’opera non si risolve. Io finora non ho avuto grandi problemi – racconta –, se non un contraccolpo su erba e fieno. Ma le coltivazioni di cereali hanno resistito bene. Lavoro apportando sostanza organica, che rende il terreno più friabile, soffice e ossigenato, consentendo di trattenere meglio l’acqua. E poi, bisogna lavorare i campi con attrezzature leggere, invece in giro vedo trattori molto pesanti. Ma il punto è sempre uno solo: il contadino deve stare il più possibile vicino alla terra perché solo così può conoscerne le esigenze e intervenire in modo puntuale».

Una filiera a ciclo chiuso

La famiglia Brezza possiede 50 ettari di terreno: venti ettari sono per l’erba medica, quindici per grano e orzo, una parte lasciata a bosco e orto. Dieci ettari vengono infine coltivati a vigneto e servono a produrre in parte uva che viene esportata in Germania per diventare succo, in parte, attraverso un attento lavoro in cantina, ventimila bottiglie di vino naturale, in particolare barbera, freisa e un eccellente grignolino del Monferrato.

Quello messo in piedi nell’arco di un secolo è un organismo aziendale autosufficiente dove l’allevamento dei bovini, alimentati con i foraggi della cascina e dei quali viene utilizzato il letame come concime, riveste un ruolo fondamentale.

Il padre di Francesco, Luigi, è stato negli anni sessanta un pioniere in Italia dell’uso del biodinamico in vigna, mentore di tanti vignaioli che ne hanno seguito le orme. Ricorda Francesco: «A quel tempo, i tecnici suggerirono a papà, per risparmiare tempo e fatica, di usare prodotti chimici, ma quando provò a mio nonno si gonfiarono gambe e braccia e il medico disse loro che dopo i trattamenti era opportuno non andare in vigna per qualche giorno per evitare di intossicarsi. Per questo mio padre decise di cercare altri metodi. Il biodinamico all’epoca era agli albori in Italia. Rudolf Steiner, che lo ha messo a punto un secolo fa, ha collegato saperi ancestrali con il mondo contadino: oggi io li unisco all’utilizzo della tecnologia per ottenere il miglior risultato».

Il trend verso le tecniche sostenibili

L’impegno richiesto è tanto, perché bisogna entrare in simbiosi con la propria terra. «Se guardiamo oggi al mondo agricolo, abbiamo due linee di mercato: chi pratica agricoltura e deve soddisfare la vendita e chi, come me, è un contadino e guarda al fabbisogno aziendale. Ma si possono fare errori, o ottenere buoni risultati, in un caso come nell’altro. Sicuramente, nel primo, per reggere l’impatto con i cambiamenti climatici sempre più rapidi,

occorre riportare il fattore umano nei campi, investendo in manodopera per poter intervenire in maniera più efficace, salvaguardando i raccolti. E poi, e questo vale per tutti, lavorare bene sulle rotazioni».

«L’agricoltura c’è da sempre, l’essere umano è cento anni che cerca di distruggerla, ma non c’è ancora riuscito. È necessario cambiare. Ma il trend che vedo, rispetto all’uso di pratiche di coltivazione biologiche o biodinamiche, è positivo. Negli anni sessanta-settanta chi si avvicinava all’agricoltura, automaticamente utilizzava la chimica. Oggi c’è un ricambio generazionale e chi si approccia a questo mondo punta subito su tecniche sostenibili». E questa è una conseguenza di una maggior sensibilità, ma anche, osserva Brezza, «delle normative entrate in vigore nel tempo e della ricerca di mercato». Sono tanti coloro che visitano l’azienda per toccarne con mano il funzionamento, dai consumatori ad altri agricoltori. «Spero sempre non si spaventino – dice Brezza con una battuta – perché chi viene qui, nel bene e nel male, trova terreni che da quarant’anni sono gestiti in questo modo. Per arrivare ad avere una terra ricca il lavoro dietro è tanto, ma gli sforzi poi vengono ripagati».

 

Saperenetwork è...

Marina Maffei
Marina Maffei
Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.

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