Omar Di Felice nell'ultima tappa del suo viaggio tra l’Himalaya e il Karakorum

Omar Di Felice nell'ultima tappa del suo viaggio tra l’Himalaya e il Karakorum

Bike to 1.5°C, pedalate estreme per l’ambiente. Intervista a Omar Di Felice

In sella alla sua bici “l’ultracyclist” romano attraversa territori fragili e bellissimi, dove i segni dei cambiamenti climatici sono più evidenti. Nell’ultimo viaggio in Ladakh ha incontrato le popolazioni himalayane che affrontano la siccità con gli Ice Stupa

I viaggi in solitaria di Omar Di Felice sono avventure sportive, ma anche un modo per vedere con i propri occhi gli effetti dei cambiamenti climatici. Con Alone in Ladakh nei primi mesi di quest’anno ha percorso 1100 chilometri in solitaria nella regione indiana tra l’Himalaya e il Karakorum, undici giorni in bicicletta tra il freddo estremo e il calore delle popolazioni locali. Dopo la pedalata da Milano a Glasgow in occasione della Cop26 e il giro del mondo artico nel 2022, Alone in Ladakh è il terzo viaggio del progetto Bike to 1.5°C , che unisce imprese sportive e attività di divulgazione. Atleta professionista, Omar Di Felice ama sfidare i propri limiti e ha compiuto numerose avventure nel mondo artico, che l’hanno portato a vedere in prima persona le trasformazioni dei ghiacciai. «A un certo punto della mia carriera non ho più potuto focalizzarmi solo sulla parte sportiva e guardare solo il mio obiettivo», afferma. «In Islanda, paese in cui sono stato più volte, nel 2019 un ghiacciaio è stato decretato morto. Quando vivi in prima persona i problemi del cambiamento climatico non puoi più girarti dall’altra parte».

 

Un primo piano di Omar Di Felice durante uno dei suo viaggi in bicicletta
Omar Di Felice durante uno dei suo viaggi in bicicletta

 

Com’è nata l’idea del progetto Bike to 1.5°C?

Mi trovavo sulle Alpi tra Italia e Francia, erano i giorni in cui a Milano si facevano degli incontri in preparazione alla COP26 di Glasgow. Ho avuto l’idea di andare da Milano a Glasgow in bicicletta, per promuovere il suo uso come mezzo per il cambiamento. Da questo primo viaggio è nato il progetto. Grazie al coinvolgimento e al supporto dell’associazione Italian Climate Network  è diventato un’attività strutturata che comprende avventure sportive, confronti e talk con esperti, incontri di divulgazione nelle scuole. Conosciamo e ci fidiamo dei dati degli scienziati, ma finché i problemi non ci toccano da vicino tendiamo a minimizzarli. Vedere con i miei occhi gli effetti dei cambiamenti climatici mi ha cambiato la consapevolezza, mi ha smosso qualcosa e cerco, a mia volta, di smuovere quante più coscienze possibili.

La bicicletta rappresenta un modo di muoversi rispettoso dell’ambiente, richiede fatica e capacità di adattamento, valori importanti non solo nelle imprese sportive, ma anche nella vita di tutti i giorni. E poi ti fa vedere il mondo alla giusta velocità, quella che abbiamo perso perché siamo sempre di corsa e in macchina. Corriamo troppo e non ci fermiamo a guardare la bellezza del mondo.

Nei primi mesi del 2023 sei stato in Ladakh, dove hai pedalato sulle strade più alte del mondo, a più di 5000 metri di quota. Perché hai scelto questa meta?

Ogni mio viaggio si inserisce in un progetto di divulgazione più ampio in cui racconto l’esperienza sportiva, ma anche i luoghi e le persone che incontro. Ho scelto il territorio del Ladakh perché l’Himalaya, come tutte le catene montuose, è ormai fortemente a rischio a causa della crisi climatica, i ghiacciai si stanno ritirando, c’è sempre più caldo in estate e meno neve in inverno. L’Himalaya si sposava bene con l’idea di andare a vedere cosa succede in quei luoghi del mondo di cui si sente parlare, ma che troppo spesso sentiamo molto lontani da noi. Una valle himalayana è esattamente come potrebbe essere una valle alpina, con le stesse problematiche e criticità, con la differenza che si trova in un paese in via di sviluppo e quindi, nella nostra percezione, “inferiore”. Ho avuto modo di confrontarmi con la popolazione locale e capire come affronta il problema dei cambiamenti climatici. In Ladakh stanno elaborando un sistema di accumulo della neve che cade in inverno creando degli “stupa” di ghiaccio, che permettono di avere una maggiore disponibilità di acqua in estate. Gli stupa sono i tipici monumenti buddisti, la cui forma ricorda un po’ una piramide. L’associazione che si occupa di questo progetto, chiamato “Ice stupa”, mi ha raccontato che l’idea è talmente valida e interessante che è stata contattata anche da alcuni enti europei per il problema del ritiro dei nostri ghiacciai sulle Alpi. Nei prossimi mesi alcuni rappresentanti verranno in Svizzera e in Germania per capire come applicare il metodo degli Ice stupa sui ghiacciai alpini.

 

 

Oltre ai luoghi con i tuoi viaggi vedi, e poi racconti, la diversità di approccio ai problemi ambientali. Quali sono le differenze che ti hanno colpito di più?

Sì, queste situazioni ti fanno proprio capire la diversità di approccio in termini di cultura. Purtroppo noi occidentali siamo i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici, che affondano le radici nello sviluppo industriale, e crediamo di poter governare la natura. E cosa facciamo quando la natura ci mostra i nostri limiti nei suoi confronti? Cerchiamo una soluzione che è peggio del problema stesso. Un esempio è la proposta di qualche anno fa di coprire i ghiacciai con dei teloni per rallentarne lo scioglimento.

Ma coprire i ghiacciai non serve a niente, è una soluzione che non ha nulla di sostenibile e non fa altro che aumentare il problema. Le popolazioni himalayane invece, abituate a vivere in simbiosi con l’ambiente, cercano una soluzione più naturale, accumulando la neve che cade d’inverno per sfruttarla d’estate.

Al mio ritorno dal Ladakh c’è stata una cosa che mi ha particolarmente colpito. In occasione della giornata mondiale dell’acqua, che si celebrava in quei giorni, sono stati resi noti i dati aggiornati sul consumo di acqua. In Italia usiamo più di 200 litri d’acqua al giorno, in Europa in media un po’ meno. Quando arrivavo nei villaggi in Ladakh mi davano un secchio con 15 litri d’acqua, che doveva bastarmi per tutto il giorno. E mi spiegavano che la forbice si sta allargando sempre di più, c’è sempre meno neve in inverno e quindi sempre meno acqua in estate. Noi viviamo in città molto schermate dal contatto con la natura, abbiamo strade, palazzi, cemento dappertutto, riscaldamento, aria condizionata. Abbiamo creato delle bolle in cui si è perso il rapporto simbiotico con la natura, mentre in altri luoghi si vive ancora secondo i cicli naturali e si cercano soluzioni rispettose dell’ambiente.

 

Guarda il video di Omar Di Felice 

Quello che ho capito è che non possiamo governare la natura schiacciandola, ma dobbiamo accoglierla nel nostro vivere quotidiano.

Sei molto sensibile, e critico, sui temi dell’architettura e dello sviluppo urbano…

Sono vicino a questi temi perché ho una laurea in design e non posso fare a meno di notare che lo sviluppo architettonico che abbiamo avuto in Italia è stato dissennato. Nel nostro paese non esistono esempi virtuosi di architettura che abbiano integrato in maniera sistemica le città rispetto al contesto naturale. Abbiamo alzato muri e barriere, costruito strade e palazzi, e se non possiamo spianare una montagna ci costruiamo sopra la casa. Ultimamente le cose stanno cambiando, per esempio a Milano l’architetto Boeri ha lanciato l’idea dei boschi verticali, ma è ancora poca cosa rispetto a quello che dovremmo fare.

In un post sul tuo sito rifletti sulla differenza tra attività e attivismo. Cosa ne pensi del recente fenomeno degli ecoattivisti?

Parto da un presupposto, avendo fatto anche studi artistici: per me l’arte è come la natura, è il prodotto bello dell’estro e dell’ingegno umano. Io, personalmente, non riuscirei neanche a scrivere sul muro di casa con una matita, ma credo che si debba dare la giusta dimensione alle cose. Ero in Ladakh quando è stata imbrattata la facciata di Palazzo Vecchio a Firenze. Tutti hanno posto l’attenzione sui 5mila litri di acqua che sarebbero stati utilizzati per pulire la facciata.

Ma 5mila litri di acqua sono esattamente la quantità necessaria per allevare l’animale che ci darà una fiorentina da 1 chilo, proprio quella tipica dei ristoranti di Firenze. Quindi, cosa viene fatto tutti i giorni con 5mila litri d’acqua?

 

La bicicletta di Omar Di Felice tra le vette himalayane
La bicicletta di Omar Di Felice tra le vette himalayane

 

Una fiorentina da 1 chilo, moltiplicata per tutte quelle consumate in un giorno, moltiplicato per anni…in un momento in cui c’è scarsità d’acqua ed è noto che l’allevamento di animali consuma molta acqua (e lo dico senza essere vegetariano). Oggettivamente, se il risultato di tutto è dare a una persona una multa di decine di migliaia di euro, c’è qualcosa che non va. Una soluzione al problema va trovata. Nel mio piccolo ho ridotto il consumo di carne al minimo, anche senza rinunciare. Ma il consumo abnorme di carne che facciamo non è più sostenibile. Quindi il problema non è che ci sia qualcuno che lancia secchi di vernice. Il gesto va condannato, ma il problema vero è la motivazione di fondo: la necessità di richiamare l’attenzione perché sulle questioni ambientali le persone, soprattutto i politici, non vogliono vedere e ascoltare.

Un aspetto importante del progetto Bike to 1.5°C è l’incontro con i più giovani. Come reagiscono quando racconti dei tuoi viaggi e delle tue riflessioni sull’ambiente?

Quando incontro bambini e ragazzi nelle scuole porto la mia esperienza, facendo vedere sia le cose belle che quelle brutte. Senza toni catastrofici, ma per accendere in loro una spia d’allarme. La cosa che mi lascia sempre stupito, in positivo, è che le giovani generazioni sono pronte. A loro non pesa spostarsi in bicicletta o fare la raccolta differenziata della plastica. Il problema siamo noi adulti abituati a comfort a cui facciamo fatica a rinunciare, come l’aria condizionata o l’uso della macchina per ogni minimo spostamento. Per questo vorrei ampliare il progetto coinvolgendo i genitori, perché il problema sono loro, non i più piccoli!

Il tuo messaggio è che siamo tutti coinvolti nella crisi climatica, e ognuno deve fare qualcosa, anche senza gesti eclatanti o avventure estreme. Cosa possiamo fare concretamente?

Possiamo agire con le nostre scelte quotidiane. E a chi pensa che un piccolo gesto non serva a niente, rispondo con la bellissima favola del colibrì. Narra la leggenda che quando scoppia un incendio nella foresta, il colibrì fa avanti e indietro dal lago e porta l’acqua con il suo becco. Due gocce d’acqua alla volta. Un animale più grande gli chiede cosa pensa di risolvere con le sue due gocce d’acqua. Il colibrì risponde: “io faccio il massimo possibile e porto la mia goccia. Se tutti vi muoveste e portaste la vostra goccia, non sarebbe più una goccia, ma abbastanza acqua per spegnere l’incendio”. Ecco, ognuno di noi può fare la sua parte e portare la sua goccia.

 

 

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Saperenetwork è...

Sara Brunelli
Veneta di origine e milanese d’adozione, dal 2003 scrive di scienza e tecnologia, con particolare interesse per robotica, intelligenza artificiale, impatto del digitale sulla società e sull’ambiente. Dopo la laurea in Matematica e un Master in Comunicazione Scientifica ha collaborato con l’Università di Milano per la mostra “Simmetria, giochi di specchi”, il Museo della Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci”, la rivista di divulgazione scientifica “Newton” e altre testate e siti siti web. Accanto all’attività giornalista è docente presso un ente di formazione professionale, dove insegna matematica e informatica e re-impara a vedere il mondo attraverso gli occhi di ragazze e ragazzi. I loro sogni e le loro aspettative sono ispirazione per costruire ogni giorno un mondo migliore e mettere le parole al servizio di un futuro più sostenibile.

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