Francesca Romana Rinaldi

Francesca Romana Rinaldi, autrice di "Fashion industry 2030", insegna alla Bocconi ed è fra le massime esperte in materia di moda sostenibile

Come sarà l’industria della moda nel futuro? Parla Francesca Romana Rinaldi

La sfida per il clima, attraverso un modello produttivo e di business circolare. Oltre a una richiesta di attenzione etica sempre più forte da parte del mercato. Dentro il volume “Fashion industry 2030” insieme all’autrice, docente alla Bocconi e fra le massime studiose di moda responsabile

Come sarà l’industria della moda fra qualche anno? Diciamo da qui al 2030? Sarà come la conosciamo oggi? Un’industria globale dominata dal modello del fast fashion, della moda usa e getta, capace di produrre fino a 50 collezioni all’anno? O sarà un’industria capace d’integrare profitto, estetica e etica?

Le sfide che riguardano questo settore sono enormi e il ruolo di tutti noi, come clienti critici e consapevoli, sarà sempre più importante.

Guarda il booktrailer del libro

 

Lo scenario che si prospetta è nel libro “Fashion Industry 2030″ (Egea-Bocconi, 2019) di Francesca Romana Rinaldi, docente presso la Bocconi di Milano e la Sda Bocconi School of Management dove coordina il corso “Csr in Fashion & luxury”. Insieme al libro, scritto in inglese ma con un linguaggio semplice e di facile fruizione, nel 2019 ha creato l’Instagram community @fashionindustry_2030 per parlare d’innovazione responsabile e creazione di valore condiviso nella moda. La Rinaldi fa parte inoltre del team di ricercatori del Sustainability Lab Sda Bocconi school of management e dirige il “Monitor for Circular Fashion”. Un punto di riferimento assoluto, insomma, nel settore come conferma anche il suo ruolo da consulente Unece nel progetto “Enhancing Transparency and Traceability of Sustainable Value Chains in the Garment and Footwear Industry”.

L’abbiamo intervistata per conoscere da vicino il suo parere su come cambierà l’industria della moda e quale sarà in futuro il ruolo dei consumatori.

 

 

Cominciamo dal suo libro, perché l’orizzonte temporale che si evoca già nel titolo è al 2030?
Perché è lo stesso dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, una call to action sottoscritta a fine 2015 dai governi dei paesi delle Nazioni Unite e approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu. L’Agenda è costituita da 17 Obiettivi con validità globale per lo Sviluppo Sostenibile con relativi target sociali, ambientali, economici ed istituzionali da raggiungere entro il 2030. L’obiettivo comune è quello di porre fine alla povertà e all’ineguaglianza, affrontare i cambiamenti climatici, costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani. E la finalità del libro è proprio quella di parlare dei problemi dell’industria globale della moda, ma soprattutto delle soluzioni che si possono implementare per rendere questo settore più responsabile.

In generale, cosa c’è che non va oggi nell’industria della moda?
Purtroppo sono tante le sfide ancora da affrontare, sia a livello ambientale che sociale. Inquinamento dell’aria, elevate emissioni di gas-serra e consumo elevato di acqua nelle varie fasi della filiera sono solo alcuni dei problemi ambientali causati dalle aziende nel campo della moda. Possiamo poi aggiungere l’utilizzo di insetticidi, pesticidi e fertilizzanti in agricoltura, settore di provenienza del cotone e di altre fibre naturali, la conseguente degradazione del suolo.

E poi la deforestazione a causa della coltivazione intensiva delle piantagioni di cotone e di altre fibre con la perdita dell’habitat delle popolazioni indigene.

 

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La lista è lunga: c’è l’esaurimento della biodiversità e degli ecosistemi a causa delle coltivazioni intensive, quello delle risorse naturali, la produzione elevata di rifiuti, il consumo elevato di energia, l’utilizzo di sostanze chimiche potenzialmente pericolose o dannose per la salute delle persone. Molti anche i problemi sociali ed etici riguardanti lavoratori e fornitori presenti nella filiera moda globale: alla mancanza di sicurezza dei luoghi di lavoro si aggiungono bassi salari e mancato rispetto dei salari minimi, presenza di sfruttamento del lavoro e lavoro minorile, discriminazioni e disparità di genere, assenza di previdenza sociale, assenza della libertà di associazione e di diritto alla contrattazione collettiva.

Quali sono, quindi, le sfide più importanti che l’industria della moda deve affrontare da qui al 2030?
Sono importati sia le sfide ambientali, sia quelle sociali. Ricordiamo che durante l’ultimo G20 di Napoli i leader hanno convenuto di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, accelerare le proprie azioni tese a conseguire zero emissioni nette di gas serra a livello mondiale oppure la neutralità carbonica entro la metà del secolo. Le sfide ambientali sono certamente più menzionate dai media: troppo spesso i problemi sociali vengono lasciati in secondo piano. Un punto fondamentale è la tracciabilità e la trasparenza: la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite ha lanciato nel 2021 una Call to action focalizzata sulla filiera del tessile-abbigliamento-calzature. In sintesi, è fondamentale avere le informazioni su chi ha prodotto un capo, dove è stato prodotto e come è stato prodotto per garantire il rispetto delle persone che lavorano nella filiera e per permettere al consumatore di poter fare delle scelte informate.

 

 

Ma che cos’è la moda sostenibile?
Occorre ridare corpo alla parola sostenibilità. Non basta utilizzare cotone biologico per essere sostenibili. Serve piuttosto un approccio a 360 gradi: ridurre l’impatto ambientale, mettendo al centro le persone, restituendo al territorio, creando un rapporto di scambio con l’arte e la cultura, comunicando in maniera trasparente con i media.

Nel libro scrive che la moda sostenibile non può fare a meno di un modello di business circolare, perché?
Se guardiamo verso il futuro vinceranno le aziende di moda sostenibile che sapranno rimodellare i loro processi e le attività della catena del valore attraverso i driver della trasparenza e tracciabilità, della circolarità e del consumo collaborativo. Occorre gestire in maniera più efficiente le risorse che abbiamo a disposizione (materie prime, acqua, energia). I rifiuti tessili sono un problema: McKinsey Company stima che la pandemia abbia generato 60 miliardi di prodotti moda rimasti invenduti nel 2021. Circolarità nel settore moda non significa solo riciclare la materia prima per avviare un nuovo ciclo produttivo: c’è molto di più! Nel libro Fashion Industry 2030 parlo della nuova catena del valore circolare partendo dall’offerta di servizi di riparazione, fornire suggerimenti sulla cura e manutenzione dei capi per estenderne la vita, dare al consumatore delle opzioni alternative all’acquisto come l’affitto e l’acquisto di capi di seconda mano.

Quale sarà il ruolo del consumatore e perché è centrale?
In primis per chiedere maggiore trasparenza alle aziende e per attivare le catene del valore circolari: sono i consumatori a dover chiedere alle aziende di riparare i capi, di affittarli, di ritirarli con programmi di take-back per poterli riciclare.

 

 

Quali novità e progressi ci ha portato il 2021 in termini di maggior trasparenza, tracciabilità della filiera e circolarità nella produzione e utilizzo?
Quasi tutte le aziende del settore moda hanno avviato un percorso di sostenibilità: fino a qualche anno fa le aziende molto attive erano in numero esiguo. Nel 2021 molte aziende del settore moda hanno iniziato ad esplorare i modelli di business circolari. Negli ultimi anni la domanda di capi sostenibili è cresciuta, anche in Italia. Pensiamo allo sviluppo delle numerose app per l’acquisto dei capi di seconda mano come Vinted, Greenchic, Vestiaire Collective e Wallapop.

Con il nuovo Piano d’azione per l’economia circolare nel 2020, la Commissione Europea si è impegnata ad accelerare la transizione verso la circolarità con lo sviluppo di un quadro politico integrato e ad attuare misure lungo il ciclo di vita dei prodotti.

 

Nel 2022, la Commissione Europea introdurrà una strategia europea per il tessile con l’obiettivo di promuovere la competitività industriale e l’innovazione nel settore tessile e contribuire alla sostenibilità e alla circolarità dei prodotti immessi nel mercato dell’Unione Europea. Il decreto legislativo 116/2020 in vigore dal 1° gennaio 2022 afferma che in Italia è obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili affinché questi siano gestiti per il recupero e lo smaltimento. Questo è un primo segnale che qualcosa sta cambiando ma occorre continuare ad investire sull’educazione di tutti gli attori, in primis aziende e consumatori, per estendere la vita dei capi ed ottimizzare l’utilizzo delle risorse che abbiamo a disposizione.

Come è possibile oggi scegliere in maniera responsabile evitando di cadere nel greenwashing?
Oggi la sostenibilità è diventata cool, quindi il rischio di greenwashing è ancora più elevato. Questi sono alcuni elementi per valutare se dietro agli annunci c’è una reale strategia per la sostenibilità: l’approccio olistico e multi-stakeholder (sostenibilità ambientale e sociale), le relazioni con associazioni, Ong, istituzioni o università, l’approccio scientifico per la misurazione dei risultati di sostenibilità. Quindi partire dalla trasparenza e dalla tracciabilità della filiera come strumento per dare sostanza ai claim di sostenibilità e di circolarità verso tutti gli stakeholders, compresi i consumatori.

 

Una filiera della moda rinnovata
La tracciabilità, la trasparenza, la circolarità e il consumo collaborativo stanno rimodellando le attività della filiera di valore della moda verso una maggiore sostenibilità

 

Come sarà, dunque, la moda al 2030?
Nel libro racconto i sei grandi cambiamenti che possiamo attendere per il 2030: le catene del valore saranno tracciabili e trasparenti, il coinvolgimento del consumatore in un modello “take-make-remake” sarà fonte di vantaggio competitivo, la raccolta e l’analisi dei dati sarà sempre più ampia per supportare la creatività umana con tecnologie innovative, le aziende di moda analizzeranno ed utilizzeranno un elevato numero di dati relativi ai consumatori, tanto che grazie all’intelligenza artificiale sarà possibile creare esperienze efficaci, in cui tutti gli stakeholders saranno attivi nelle catene del valore della moda. E ancora, le aziende moda garantiranno centralità, coinvolgimento e inclusività del consumatore, ci sarà un passaggio graduale dal prodotto al servizio, infine i profitti saranno realizzati senza danneggiare l’ambiente o la società.

Crede sia davvero possibile?
La pandemia ha accelerato alcuni dei cambiamenti e alcuni sono molto evidenti, anche in Italia: si pensi alla spinta forzata alla digitalizzazione e allo sviluppo della ricommercializzazione, vale a dire la vendita di seconda mano. Arrivare al 100% della tracciabilità di filiera entro il 2030 sarà difficile ma è la direzione verso cui tendere. La strada è ancora lunga ma se il circolo virtuoso continuerà nella direzione già avviata sono fiduciosa: vinceranno le aziende che sapranno generare valore condiviso per tutti gli attori in gioco, a partire dalle persone.

Saperenetwork è...

Luisella Berti
Giornalista e blogger. Sulle scelte di consumo nel settore della moda cura il blog “Fattidistile.it”. Si occupa di sostenibilità ambientale e scelte di consumo per una migliore qualità della vita, degli effetti sul cambiamento climatico e dei diritti delle persone. Nata a Roma, ha collaborato con La Nuova Ecologia, Casa Naturale, Il salvagente e 50&Più.

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