(Immagine: kjpargeter, freepik)

Prevedo, dunque sono: la difficile arte di essere se stessi

Nel libro “Come il cervello crea la nostra coscienza”, il neuroscienziato Anil Seth sgretola i misteri della coscienza alla luce di una prospettiva integralmente naturalistica. Ne emerge un quadro complesso, in cui viene meno anche il “me stesso” che siamo abituati a pensare

Con la testa dentro la natura: così si spiega, meglio ancora, si dissolve il mistero della coscienza. Parola di Anil Seth, ricercatore nel campo di quella che lui stesso definisce scienza della coscienza, professore di neuroscienze cognitive all’Università del Sussex e autore di “Come il cervello crea la nostra coscienza”. Il lavoro di Seth, diciamolo subito, è complesso, come d’altronde è il tema affrontato. Ma per fortuna, questo volume, pubblicato da poco in italiano ma uscito in inglese nel 2021 e divenuto un bestseller, rappresenta il precipitato della frequente presenza mediatica dell’autore: dai Ted talk ai podcast, ai molti interventi su quotidiani e alla presenza ai festival, quale ad esempio Pordenonelegge il 16 settembre, presenze che ne fanno una star della pop science, come si può vedere anche dalla sua pagina web.

Anil Seth

Il neuroscienziato Anil Seth
Il neuroscienziato Anil Seth

Un libro complesso, dunque. Ma sebbene gli strumenti messi in campo siano quelli, anche sperimentali, delle neuroscienze, l’impianto di fondo è fortemente filosofico. Ovvero, le domande di partenza sono quelle classiche – perché emerge la coscienza dal cervello? Cosa vuol dire essere un sé? – in un costante confronto con grandi autori, da Kant a Cartesio.

Ci vuole un fisico bestiale

In realtà, la tesi principale del libro, quella della “macchina bestiale”, è plasmata sulla definizione di homme machine coniata in origine da un pensatore francese, meno noto dell’autore del Discorso sul metodo, come De La Mettrie. Nella prospettiva di Seth, noi tutti siamo, in quanto esseri in carne ed ossa – ovvero animali, quindi bestiali in senso buono – e con una struttura mentale che fa presa costante sulla realtà, in questo senso macchine, costantemente guidati dall’istinto di sopravvivenza. Siamo soprattutto esseri per cui tutte le percezioni ed esperienze, sono una sorta di costruzione mentale. E questo ribalta l’idea ingenua e comunemente accettata di come si verifica la conoscenza della realtà: vedendo, ascoltando, toccando qualcosa lo introduco nella mia testa , che ne elabora i dati in un secondo momento.

Ma la testa – cervello e mente che ne è il prodotto -, è tutt’altro che vuota in partenza, non foss’altro per la materia che contiene fin dalla propria origine. Cosa significa che la struttura biologica che noi stessi siamo pensa il mondo “prevedendolo”?

Seth prende in prestito e adatta alla propria la felice teoria, formulata dallo psicologo britannico Chris Frith delle “allucinazioni controllate” (anche il lavoro di Frith Inventare la mente è stato pubblicato in italiano da Cortina nel 2007, sempre nella collana Scienza e Idee, che fu diretta dal filosofo Giulio Giorello ). Noi formuliamo ipotesi plausibili sulle cose, un po’ come succederebbe se avessimo allucinazioni, appunto, e di solito ne riceviamo conferma, in un continuo processo di rimando e adattamento dei dati sensoriali, il che corrisponde al livello del controllo. Se la conferma non dovesse arrivare, cambiamo ipotesi, riadattandola. Ma il fatto che pensiamo che una tazzina di caffè abbia una certa forma anche nella parte di essa che non vediamo, si possa rompere se la lasciamo cadere, sia adatta a contenere liquidi, ci permette di usare questo e altri oggetti. E sopravvivere agevolmente.

L’io a pezzi

È un po’ così anche per il concetto che va sotto il nome di coscienza. E qui arriviamo davvero al cuore del ragionamento di Seth. Per varie ragioni – piscologiche, evoluzionistiche -, siamo abituati a pensare che la percezione del nostro essere noi stessi, in prima persona, sia un’idea spontanea, immediata. E quindi vera. Un po’ come accade nel cogito Cartesiano: penso, dunque sono. E sono me stesso. Chi altri dovrei essere, sennò?

Guarda il Ted talk con Anil Seth

Invece no. Tirando il filo della sua teoria della percezione, Seth presenta il sé in prima persona come a sua volta frutto di costruzione mentale. La quale, di nuovo, è utile al nostro organismo biologico per sopravvivere nel mondo, come di solito riusciamo a fare benissimo. Ecco che anche l’essere sé stessi, la prospettiva di percepire le cose in prima persona, rientra nel novero delle allucinazioni controllate. E con questa mossa, quello che Seth definisce il “vero problema” della coscienza – che un altro filosofo, contemporaneo, David Chalmers, enunciava così: non come ma perché mai dalle cellule del cervello nasce qualcosa come coscienza – è risolto. Anzi, forse è disgregato. A vederla da vicino, la coscienza si compone sia di diversi livelli misurabili che di forme multiple. Se la intendiamo come “vigilanza”, andrà dallo zero di coma e anestesia, fino ai sogni e alle esperienze psichedeliche (che sono forme differenti di allucinazioni senza riaggiustamento, ma comunque coscienti). Sotto il profilo dell’identità personale, si andrà dalla percezione di essere corpo, alla prospettiva in prima persona, fino al sé narrativo e a quello sociale. Ed è proprio la narrazione continua di noi stessi che facciamo attraverso la memoria, a darci un’impressione di identità personale. Falsa, se seguiamo queste ipotesi teoriche, ma comunque imprescindibile per non andare in pezzi.

È così che Anil Seth ci accompagna in un labirinto di riferimenti e di problemi teorici. Quando ne usciamo, possiamo anche non essere convinti di tutte le soluzioni proposte. Ma di sicuro, avremo capito qualcosa in più.

Saperenetwork è...

Andrea Valdambrini
Andrea Valdambrini
Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.

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