Ascanio Celestini

Ascanio Celestini. Il regista ha portato il suo "Radio Clandestina", tratto da "L'ordine è già stato eseguito" di Alessandro Portelli al Festival opera Prima di Rovigo

Dalle Fosse Ardeatine all’Ucraina, la guerra e le sue narrazioni. Intervista ad Ascanio Celestini

Il regista e attore romano, a vent’anni dal debutto, è tornato al Festival Opera Prima con Radio Clandestina, lo spettacolo sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. Dalle bombe alle morti sempre inaccettabili, il suo punto di vista sulla guerra, attraverso un racconto di straordinaria attualità

 

Ventidue anni dopo la primissima volta a via Tasso, nel Museo della Liberazione di Roma e vent’anni dopo il debutto proprio a Rovigo, Ascanio Celestini, attore, autore, scrittore e regista ormai famoso, è tornato al Festival Opera Prima edizione XVIII diretto da Massimo Munaro con Radio Clandestina, lo spettacolo sull’eccidio delle Fosse Ardeatine che ciclicamente riporta in scena. Nel chiostro di San Bartolomeo, sul palco spoglio e nudo – una sedia e tre lampadine – c’è solo il volto scavato e il corpo asciutto del narratore della Storia e delle storie, il testimone di memorie e corpi che tendono a sbiadire, a non essere ricordati perché non contano.

Operai e sfollati, matti e lavoratori. Le storie degli umili, degli oppressi, dei sommersi che troppo spesso non si sono salvati.

 

Il libro di Alessandro Portelli cui si ispira Radio Clandestina

 

Come i 335 civili uccisi con un colpo alla nuca il 26 marzo 1944, massacrati e ammassati uno sull’altro in una delle 170 cave aperte quarant’anni prima per costruire Roma Capitale d’Italia e poi cosparsi di terra e immondizia, sepolti dall’esplosione che doveva sbarrare le entrate e occultare la strage. Un testo sulla Resistenza, la guerra, l’occupazione e la morte ispirato dal libro di Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito che oggi vibra e risuona dolorosamente con l’attualità. Dal grano al gas, dalle bombe alla propaganda, ogni accenno riporta alla guerra in Ucraina. Il finale, per esempio:

«Due giorni dopo le Fosse Ardeatine, il 26 marzo 1944, sull’Osservatore Romano esce un editoriale non firmato che dice: Trentadue vittime da una parte: trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto. Ma ti pare che un partigiano fa un’azione di resistenza contro l’occupazione nazista e poi si consegna? Sono colpevoli come dice l’Osservatore Romano? Per anni si parlò dei bandi affissi per la città che avevano invitato i ‘colpevoli’ a consegnarsi. Quei bandi non sono mai esistiti. Oggi diremmo che era una fake news, propaganda»

 

 

Ecco, partiamo da qui per arrivare all’oggi. Dall’enorme ruolo che i media e i social hanno giocato nel raccontarci la guerra in Ucraina.
È la punta di un iceberg che risale alla fine degli anni Settanta, quando pian piano abbiamo smesso di partecipare in prima persona alla vita politica per accontentarci di viverla attraverso la tv e i giornali.

Pensiamo a Wojtyla che scia, a Pertini allo stadio o vicino al pozzo di Alfredino Rampi.

Personaggi che abbiamo imparato a ‘conoscere’ attraverso lo schermo mentre perdevamo man mano gli strumenti che costruiscono la narrazione per seguire la narrazione di chi fa questo per mestiere, giornalisti in primis o chiunque abbia oggi accesso ai social. Una distrazione epocale.

Anche in televisione di recente hai espresso la tua opinione rispetto alla complicata situazione internazionale. Che effetto fa parlare in scena della guerra dei nostri nonni e padri mentre siamo così vicini ad un altro conflitto?
Abbiamo sentito parlare di resistenza ucraina e l’abbiamo paragonata alla nostra. Ma in Ucraina c’è un esercito, non una resistenza. Sono pieni di armi da anni, solo che noi l’ abbiamo “scoperto” solo adesso, perché le armi vanno provate contro le persone, non basta un software. L’Ucraina è diventata, terribile a dirsi, il luogo dove sperimentare le nuove armi. Non è resistenza perché la guerra dei nostri nonni è finita con le bombe di Hiroshima e Nagasaki e parlare di guerra oggi porterebbe all’escalation fatale per cui non abbiamo né parole né nessi.

 

Guarda l’intervento di Ascanio Celestini a Pace Proibita 

 

Ma non hanno diritto a difendersi dall’invasione voluta da Putin?
Ci può essere una resa che diventa una scelta attiva, non un arrendersi. Alla cosiddetta resistenza ucraina io direi non di arrendersi ma di consegnare le armi così come nel ’45-47 i partigiani italiani consegnarono le loro, decidendo consapevolmente a chi darle. Se accettiamo la violenza come possibilità, la violenza diventa plausibile ovunque, dalla scuola di mio figlio dove ci sono i bulli o quelle americane dove si spara direttamente al riarmo di Germania e Giappone.

E l’Italia che ruolo dovrebbe avere?
Mi sembra chiaro che l’intenzione è quella di abolire la neutralità per creare schieramenti, di semplificare: gli stati neutrali sono sempre meno, pensiamo alla Svezia e alla Finlandia, si parla persino della Svizzera.

Perché non provare invece a immaginare un’Italia neutrale? Oggi non è possibile, ma tra vent’anni, se cominciamo a parlarne e a costruirla, questa possibilità di pace, si potrebbe arrivarci. Pensate che bello, un Paese in mezzo al Mediterraneo senza armi, senza esercito o con un esercito disarmato che lavora solo per la pace, quella vera.

Prossimamente ti vedremo a Roma con “Barzellette” (il 12 luglio a Villa Ada) e con “Museo Pasolini” (28/29 luglio al Parco degli Acquedotti), tuo ritorno e omaggio a Pasolini in questo suo centenario dalla nascita. A quali progetti nuovi stai lavorando?
Alla terza parte della trilogia iniziata nel 2015 con Laika e proseguita nel 2017 con Pueblo insieme all’attore David Murgia e con le musiche di Gianluca Casadei. I primi due sono racconti di non-luoghi, bar, marciapiedi, parcheggi di ipermercati, dove però vivono persone vere, i poveri Cristi, gli immigrati, gli zingari… Questo terzo capitolo parla invece della mattanza del 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere quando un gruppetto di guardie massacrò di botte alcuni detenuti, compreso uno di loro in sedia a rotelle (proprio durante l’intervista, un messaggio avvisa Celestini della morte di Enzo Cacace, ormai ex detenuto, uno dei primi ad aver denunciato i pestaggi e i tentativi di depistaggio). Il titolo scelto qualche anno fa era “I draghi” ma non sono più tanto sicuro che rimanga. Ho già fatto varie interviste, sto raccogliendo materiale perché sempre più sento necessario cercare e raccontare i corpi, sollevarli da vivi, se possibile, ma anche da morti. Andarli a ripescare nel Mediterraneo, dissotterrarli, come vollero le donne dei 335 uomini uccisi alle Ardeatine. Un gesto di cura assolutamente femminile di cui dobbiamo appropriarci tutti.

 

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Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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