Il cervo di Marco Martalar, Rifugio Millegrobbe Luserna, Trento

Il cervo, opera di Marco Martalar realizzata con alberi abbattuti dalla tempesta di Vaia. Rifugio Millegrobbe Luserna, Trento (Foto: Stefania Bernardotto)

Sono trascorsi ormai quattro anni dalla tempesta Vaia che ha distrutto alcune decine di migliaia di ettari del patrimonio boschivo del Trentino-Alto-Adige e del Veneto. Le foreste di conifere hanno ancora profonde ferite da rimarginare, ma c’è un artista di fama mondiale che da questa distruzione ha saputo trovare spunto per le sue sculture che, oltre a ricordare la precarietà della vita, trasmettono un profondo significato di rinascita. L’artista è Marco Martello, in arte Martalar, “scultore del legno e artista del bosco”, come lui si definisce. Lo incontriamo nel suo laboratorio nei pressi della chiesa di Mezzaselva, soleggiato paesino dell’Altipiano di Asiago.

Davanti a noi gli scheletri lignei delle sue nuove sculture: sono due intelaiature di stecche di legno che, in un gioco geometrico di intrecci nello spazio, delineano a grandi linee il corpo di quello che verrà realizzato, utilizzando pezzi di radici, brandelli di tronchi e rami di alberi morti o sradicati raccolti nel bosco.

 

Marco Martalar, scultore del legno, artista del bosco
Marco Martalar, scultore del legno, artista del bosco

 

Martalar spesso lavora sul luogo dove vengono collocate le opere, come è avvenuto per il Drago di Vaia, altre volte le realizza all’aperto nell’area antistante il suo atelier, situato lungo la strada che porta turisti verso i Forti della Grande Guerra di Campolongo e del Verena e agli impianti sciistici. Circondati dalle sue opere in costruzione lo intervistiamo.

 

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Quando ha percepito di possedere doti di artista e perché ha scelto questa forma di scultura?
Il tipo di scultura che realizzo ultimamente è uno stile che ho intrapreso in tempi recenti, l’idea è sorta dopo la tempesta Vaia. La scultura invece è in me da oltre 20 anni. Prima scolpivo il legno in modo tradizionale: da un tronco con l’ausilio della motosega realizzavo l’opera che in questo caso è già dentro alla materia. Questo tipo di scultura dove si toglie il materiale è quella più difficile, perché non si può sbagliare. Ora invece realizzo opere assemblando pezzi di albero recuperati nei boschi. All’inizio faccio un disegno preparatorio, di solito è quello che presento a chi mi commissiona un’opera, poi realizzo lo scheletro del soggetto con stecche di legno sul quale vengono fissati i pezzi con le viti. Questo tipo di scultura permette l’errore, si può rimediare senza che tutto il lavoro venga perduto.

 

Prticolari del Drago di Vaia
Particolari del Drago di Vaia (Foto: Stefania Bernardotto)

 

Si tratta di opere fragili per il materiale usato e soggette a facile usura, ma preferisce comunque collocarle in luoghi all’aperto, c’è una motivazione che la spinge a questa preferenza?
È il grande significato delle mie opere. Come l’albero anche le mie opere hanno una durata di vita, non so quanto potrebbero durare nel tempo. Non uso vernici o olii per limitare i danni dell’usura, ma le lascio allo stato naturale. Il legno appena raccolto ha molte sfumature, poi dopo un anno diventa di colore uniforme e grigio. Con il passare del tempo si fissano muschi e licheni; è bello vedere questa evoluzione.

Le mie sculture sono fatte per stare all’aperto e il contesto che le accoglie è molto importante. Il Drago di Vaia è situato in un’altura che si raggiunge dopo una piacevole passeggiata. Dopo la fatica si arriva nello spiazzo, si può toccare questa opera ed ammirare intorno montagne e boschi. L’effetto e l’emozione sarebbero minori se situato in una stanza di museo.

Ho realizzato una scultura di un’aquila che ho consegnato ieri ed è stata posta in mezzo ad un vigneto.

 

 

 Come ha vissuto gli attimi della tempesta Vaia che ha colpito duramente le nostre montagne e in particolare l’Altopiano di Asiago? Dopo questo tragico avvenimento che ha ferito i boschi, come percepisce la natura, la vede come madre oppure come matrigna?
Non posso dire che la natura sia matrigna o madre. Se vediamo un uccellino che mangia un insetto allora ci viene da pensare che la natura è matrigna, è il nostro pensiero che ci porta a vederla in un modo oppure nell’altro. Ci sono avvenimenti che sono ciclici e anche l’uragano può essere uno di questi. Dalla tempesta Vaia ora il bosco sta rinascendo sotto altri aspetti, certo vedere morire gli abeti così maestosi con una morte lenta, lunga anche un anno, è stato molto triste. Per il rimboscamento ci vorranno decenni, ma c’è un grande sviluppo per quel sottobosco fatto di lamponi, fragole, mirtilli che prima non vedeva il sole e inoltre si assiste ad un ripopolamento di fauna, soprattutto uccelli.

Sta avvenendo quello che i nostri boschi hanno vissuto dopo la distruzione a seguito della Grande Guerra, come mia nonna mi raccontava.

La maestosità e la bellezza delle sue opere a tratti ricorda la scultura classica ellenistica, ma la sua arte così intrecciata con la natura e il paesaggio rientra nella corrente della Land Art, come considera l’arte del nostro passato e che idea ha di quella contemporanea?
Nell’arte del nostro passato, in quella classica, si celebra la bellezza e la potenza, è un’arte per noi molto importante, è quella che studiamo a scuola, che vediamo nei musei.

L’arte mediterranea ha fatto scuola, certo che imitare un Michelangelo, ci si può far male perché è il massimo della perfezione.

Nel Drago o nel Leone alato celebro la potenza. L’arte contemporanea è più complicata, ci sono moltissime correnti. La mia arte usa ciò che la natura offre, aggiungo solo le viti, il resto è solo legno raccolto in natura.

 

I sentieri che conducono al Drago di Vaia, a Lavarone, Trento
I sentieri che conducono al Drago di Vaia attraversano i boschi colpiti dalla tempesta (Foto:Stefania Bernardotto)

 

Le sue opere si trasformano nel tempo, esposte all’aperto rischiano inevitabilmente di consumarsi. C’è nella sua arte un significato profondo e possiamo ritrovare il concetto del divenire e una similitudine con la vita umana?
Sì, è il concetto che con le mie opere voglio far passare. Come l’albero ha una vita, una durata, anche l’opera che realizzo, con il materiale dell’albero morto e che gli ridà nuova vita, non ha una durata eterna.

Anche noi umani vorremmo essere eterni, sempre giovani, invece il tempo passa pure per noi, ed è questo concetto che le mie opere vogliono esprimere.

Preferisco che le mie creazioni rimangano all’esterno, dentro un museo, sia pure con tutti i criteri di illuminazione, sarebbero statiche. Così invece sono vive, cambiano colore nelle ore del giorno, con le stagioni e con gli anni si modificano.

Il Drago di Vaia è un capolavoro fra i tanti che ha realizzato, ci racconti come ha immaginato questa scultura e che cosa ha provato mentre la realizzava.
L’Amministrazione locale mi aveva chiesto un’opera, sono stato io a proporre il disegno del Drago. Mi è stato proposto questa radura sopra la frazione di Magrè a Lavarone, in provincia di Trento. Ho realizzato tutto in loco. Il luogo è in sintonia con l’opera, bisogna arrivarci a piedi con un po’ di fatica, da lì lo sguardo spazia sul bellissimo panorama. La scultura maestosa e viva è stata fotografata al tramonto, di notte illuminata dalla luna con tutto il cielo stellato, con i boschi in autunno ed con la neve.

 

Il Drago di Vaia
Il Drago di Vaia a Lavarone, Trento (Foto: Stefania Bernardotto)

 

Lei ha realizzato Selvart, il sentiero artistico in mezzo alla natura che si sviluppa sul versante della montagna sopra il suo atelier e che ogni anno si arricchisce di nuove opere, cosa l’accomuna con gli altri artisti?
L’ho ideato e progettato qualche anno fa. La tempesta Vaia nel 2018 aveva distrutto tutto, poi l’abbiamo rifatto nuovo. Le opere esposte sono di artisti che ho conosciuto in giro per il mondo, siamo diventati amici, condividiamo le stesse idee, la stessa arte. Per l’estate ci sarà una nuova opera, organizziamo anche eventi, si tratta di un grande impegno.

 

 L'Atelier Martalar con materiale e scheletri di nuove opere in lavorazione
L’atelier Martalar con materiale e scheletri di nuove opere in lavorazione (Foto: Stefania Bernardotto)

 

Le sue opere coinvolgono tutti i sensi, vista, olfatto, udito, tatto, in modo molto profondo, quale viene maggiormente coinvolto durante la realizzazione?
Io penso la vista. Si la vista è la più coinvolta, ma mentre lavoro sento partecipe anche il tatto, quante volte le schegge di legno mi feriscono le mani….

E per il futuro cosa sta creando, siamo curiosi ci racconti…
Ho ricevuto varie richieste: un lavoro in Austria, lavori da portare a Rovereto, ieri ho consegnato un’aquila per una Azienda vinicola dei Colli Berici. Non anticipo mai i soggetti che intendo realizzare altrimenti non c’è la novità. Su Facebook ho postato la foto dello scheletro di una nuova opera in lavorazione ed ho chiesto di indovinare il soggetto. Si tratta di un gioco divertente per interagire con le persone.

 

 

Saperenetwork è...

Stefania Bernardotto
Stefania Bernardotto
Stefania Bernardotto vive a Vicenza, insegnante, si è laureata in Archeologia all’Università degli Studi di Padova, è appassionata di storia e di arte. Ama scrivere poesie e alcune sono state pubblicate. Pratica Mindfulness di cui ha titolo di facilitatore. Le sue passioni sono la pittura e la fotografia. Ama gli animali, le piante e i fiori. Il giardino e l’orto biologico sono i suoi hobby insieme al nordic walking che preferisce praticare immersa nella natura, nel silenzio delle montagne o ammirando il tramonto sul mare, momenti che ispirano i suoi versi.

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