Immagine creativa, concetto di antropocene

Foto: Pixabay

L’Antropocene resta un fenomeno reale. Anche se non è un’epoca geologica

La Commissione Internazionale di Stratigrafia ha stabilito che ci troviamo ancora nell’Olocene. Nonostante questo la definizione avanzata nel Duemila da Paul Crutzen rimane pienamente valida per inquadrare la pervasività globale dell’impatto antropico

I tempi in cui viviamo hanno un nome chiaro e stentoreo: Antropocene. Ma dietro questo termine non si nasconde una nuova epoca geologica. La notizia è di questi giorni e, in pieno stile antropocenico, è stata annunciata dal New York Times prima ancora che fosse ufficializzata dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia che ne stava discutendo da tempo.

Impronta profonda

Alla notizia va però aggiunta una postilla fondamentale. Se non ci troviamo al cospetto di una “nuova alba” del tempo geologico non dipende dal fatto che l’impronta umana sul Pianeta sia più leggera del previsto. Al contrario, come si sono affrettati a spiegare i geologi che sono giunti a questa conclusione, gli effetti delle attività umane sono così profondi e pervasivi che mettere la bandierina in un luogo e momento preciso della storia terrestre, per segnare questo passaggio all’Antropocene, sarebbe davvero riduttivo.

 

L’esplosione Badger, avvenuta il 18 aprile 1953 nel Nevada Test Site
L’esplosione Badger, avvenuta il 18 aprile 1953 nel Nevada Test Site (Foto: National Nuclear Security Administration/Wikimedia Commons)

In principio fu Paul Crutzen

Ma quando nasce il concetto di Antropocene? Fa capolino all’interno della comunità scientifica nel Duemila, quando il chimico olandese Paul Crutzen (1933 – 1921) premio Nobel nel 1995 per gli studi sul buco dell’ozono, conia il termine durante un simposio del programma internazionale sulla geosfera-biosfera (IGBP). Con fare provocatorio lo scienziato contrappone la presunta epoca geologica dell’Antropocene a quella dell’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa e nella quale di fatto viviamo. Formalizza poi il concetto con due articoli, uno scritto insieme al biologo Eugene Stoermer per la newsletter dell’IGBP poco dopo il simposio, l’altro pubblicato dal solo Crutzen su Nature nel 2002. Da lì, l’Antropocene sfugge dalle mani della comunità scientifica.

 

Paul Crutzen in un'immagine del 2014.
Paul Crutzen in un’immagine del 2014. Foto: Carsten Costard / Max Planck Institute for Chemistry

E comincia a vivere di vita propria, acquistando grande popolarità nel mondo della cultura, dell’arte, della sociologia e in altri ambiti ben distanti da quello d’origine.

Cercando il punto di svolta

Con passo più lento e cauto, anche la comunità scientifica comincia a ragionare sull’Antropocene e sulla possibilità di aggiungerlo alla scala del tempo geologico. Che la nostra specie stia modificando in modo drammatico gli equilibri planetari è fuori di dubbio, basti pensare alla crisi climatica, alla perdita di biodiversità, all’inquinamento da plastica e a una miriade di altri impatti che le nostre attività provocano sull’ambiente. Ma qual è il punto di svolta, il momento in cui la traccia umana è diventata così netta e pesante da motivare il passaggio a una nuova epoca della storia della Terra?

Bandierine nel tempo

Per stabilirlo nel 2009 nasce in seno alla Commissione Internazionale di Stratigrafia il Gruppo di Lavoro sull’Antropocene. Per Crutzen, l’evento che segna l’inizio dell’Antropocene è la Rivoluzione Industriale di fine Settecento. Secondo altri scienziati, il tempo zero va fissato ancora più indietro, durante il colonialismo o persino con l’avvento dell’agricoltura. Ma i candidati non mancano anche in tempi più recenti: c’è chi propone di usare come bandierina segna-passaggio (il famoso “golden spike” dei geologi) la traccia lasciata negli strati rocciosi dalle microplastiche, dai pesticidi, dalle ceneri dei combustibili fossili, dagli isotopi radioattivi o addirittura dalle ossa di pollo.

 

 Uno dei fenomeni candidati per segnare il passaggio all’Antropocene: le plastiche e microplastiche presenti nei sedimenti
Uno dei fenomeni candidati per segnare il passaggio all’Antropocene: le plastiche e microplastiche presenti nei sedimenti (Foto: Mark Newberry/Unsplash)

I radioattivi anni Cinquanta

La scelta ricade infine sugli isotopi radioattivi, plutonio in primis, rilasciati dai test nucleari e dalle bombe atomiche di metà Novecento. La traccia nei sedimenti è netta (il gruppo di lavoro propone come “golden spike” il lago Crawford vicino a Toronto, in Canada) e il momento sembra appropriato. Proprio negli anni Cinquanta del secolo scorso, infatti, ha inizio la Grande Accelerazione, con l’impennata di una serie di curve cruciali per gli equilibri planetari. La popolazione mondiale cresce vertiginosamente, il consumo di acqua e di energia aumenta in modo drastico, l’uso di fertilizzanti e pesticidi sale alle stelle. La concentrazione di gas-serra (diossido di carbonio, metano, protossido di azoto) in atmosfera è sempre più alta, l’acidificazione degli oceani galoppa, la perdita di biodiversità anche. Ma la lista sarebbe ancora lunga

 

La mostra “Antropocene” del fotografo Edward Burtynsky alla Galleria d’Arte dell’Ontario di Toronto (2018)
La mostra “Antropocene” del fotografo Edward Burtynsky alla Galleria d’Arte dell’Ontario di Toronto, nel 2018 (Foto: BataGoran, Wikimedia Commons)

E se nell’Antropocene ci fossimo sempre stati?

Alla fine, però, la decisione della Commissione Internazionale di Stratigrafia è un’altra. L’epoca geologica in cui viviamo è e rimane l’Olocene, niente salto a piè pari nell’Antropocene. Ma questo non significa che l’Antropocene non sia cosa reale. Il fatto è che non si tratta di un cambiamento repentino nella storia della Terra, quanto piuttosto di un processo di trasformazione assai più ampio e pervasivo
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Così ampio e pervasivo che, verrebbe da dire, forse abbraccia l’intero Olocene, l’epoca “assolutamente recente” che ha visto la civiltà umana svilupparsi in modo sempre più spinto, anche a discapito della salute del nostro Pianeta. Prendiamo allora questa consapevolezza: epoca o non epoca, nell’Antropocene siamo immersi fino al collo.

E se non agiamo per ristabilire gli equilibri ecosistemici il prossimo passaggio nella storia della Terra potrebbe essere verso il “Fu Antropocene”.

Saperenetwork è...

Mara Marchesan
Naturalista di formazione, multiculturale per vocazione, da diversi anni lavora nel settore dell’editoria scientifica dove si occupa di progettazione e redazione di testi divulgativi e didattici. Come consulente ambientale e della sostenibilità ha sviluppato, gestito e coordinato progetti nazionali e internazionali sui temi dell’ecologia, della conservazione e dello sviluppo sostenibile per università ed enti di ricerca, organizzazioni governative e non governative e organismi internazionali. Spirito eclettico e curioso, con una passione atavica per la natura nelle sue molteplici forme ed espressioni, negli anni ha spaziato dai territori più tecnici e scientifici a quelli più arcaici e olistici, muovendosi sempre con l’entusiasmo dell’esploratore. Oltre al mondo naturale tout court, la appassionano il lifestyle eco-sostenibile e le innovazioni green, la letteratura e le espressioni artistiche e tutto ciò che è fusione tra natura e cultura. Con un gusto pionieristico per il viaggio, soprattutto se di esplorazione e scoperta.

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