Ida Duretto, docente di Letteratura italiana all'Università di Kyoto. Ha scoperto i versi inediti di Montale

Ida Duretto, docente di Letteratura italiana all'Università di Kyoto. Ha scoperto i versi inediti di Montale

Grattare il cielo, se il cielo resiste. Intervista a Ida Duretto, alla scoperta del Montale ambientalista

La studiosa, professoressa di Letteratura italiana all’Università di Kyoto, ha scoperto una poesia inedita del grande intellettuale, in cui appare una denuncia dell’Hotel Fuenti, “ecomostro” della Costiera Amalfitana. Pubblicata nel terzo annuario dei “Quaderni montaliani”, in libreria per la casa editrice Interlinea dal 10 novembre, è una composizione di straordinaria profondità

Dagli archivi del Fondo manoscritti dell’Università di Pavia è emersa una poesia inedita di Eugenio Montale ispirata dall’attività di Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto e in prima linea contro lo sfruttamento ambientale e il massacro del territorio. Nel solco di tale coscienza e dell’impegno messo in campo per arginare i ‘soprusi’, si muove la lirica del Premio Nobel che appare una denuncia in versi del clamoroso abuso edilizio dell’Hotel Fuenti, in Costiera Amalfitana. Scoperti da una docente di Letteratura italiana all’Università di Kyoto, Ida Duretto, i versi sono pubblicati per la prima volta nel terzo annuario dei Quaderni montaliani, in libreria per la casa editrice Interlinea dal 10 novembre.

 

Eugenio Montale fotografato a Milano da Federico Patellani, nel 1964 (Foto: Wikipedia)
Eugenio Montale fotografato a Milano da Federico Patellani, nel 1964 (Foto: Wikipedia)

Professoressa Duretto, la sua è una scoperta sorprendente. Le diverse stesure, l’annotazione sul retro di una traduzione di Yeats… Tra le altre cose, I grattacieli appare un ulteriore, significativo esempio di critica delle varianti. Quale importanza riveste?

Si tratta di un testimone di indubbio interesse, che consente di comprendere come lavorava l’ultimo Montale. La poesia è preceduta da quattro ‘attacchi variati’, quattro prove, che restituiscono al lettore l’immagine fedele della creatività del poeta, presentando un testo ‘in movimento’. Di solito quella che leggiamo è la versione ‘in pulito’ della poesia, già pronta per la pubblicazione, ma qui ci viene data la possibilità di osservarne la dimensione genetica.

Questo, in primo luogo, aiuta a gettare luce sull’occasione, il contesto storico che è alla base dei Grattacieli. Come è noto, infatti, il materiale che viene eliminato nel passaggio da una stesura all’altra, magari per ragioni di tipo stilistico, testimonia la volontà dell’autore dal punto di vista semantico in modo a volte più chiaro che nella versione definitiva.

In particolare, Montale, quando scrive, tende a oscurare l’occasione-spinta e qui fa precisamente questo, cancellando il riferimento all’interlocutrice, Elena Croce, e alla sua richiesta di intervento. Inoltre, è interessante poter osservare il poeta al lavoro, per analizzare le sue modalità compositive. Le diverse redazioni presentano testi molto diversi tra loro, da un punto di vista non soltanto contenutistico (con la già citata scomparsa del nome di Elena), ma anche stilistico. In questo caso, si passa da una discorsività vicina alla prosa a una soluzione formale più curata e musicale, con un vivace gioco di allitterazioni e di rime, che culminano nel calembour finale: un gioco di parole sul termine chiave ‘grattacieli’: «grattare il cielo / è ciò che resta a chi non creda più / che un cielo esista».

Il componimento risulta un interessante crocevia di tematiche: dalla coscienza ambientale alla riflessione sulla Storia, dall’idea di sviluppo ‘vorace’ alla perdita del trascendente in senso religioso, filosofico, morale. Come si colloca nel corpus montaliano?

È notevole come tutti i temi cui ha giustamente fatto riferimento si intreccino in questo brevissimo testo, con l’efficacia e l’estrema sintesi che solo la più alta poesia sa raggiungere. E ciò sicuramente si nota bene nel finale, con la clausola ad effetto affidata al verso più breve, il quinario: un uso tipico dell’ultimo Montale. Il componimento è datato 1975 e appartiene alla stagione creativa senile, quella del cosiddetto ‘quinto Montale’, che comprende le due raccolte Quaderno di quattro anni e Altri versi. Ho potuto ritrovarlo proprio perché ero impegnata in una ricerca sugli Altri versi, in vista della pubblicazione del commento completo al libro, l’ultimo ancora mancante nel panorama della critica montaliana. I punti di contatto tra la nuova poesia e quelle delle ultime raccolte sono molti, a livello tanto formale (con alcune spie lessicali notevoli, come ‘intellighenzia’), quanto contenutistico.

Tipico dell’ultimo Montale è ad esempio il concetto del «dio con barba e capelli» «detronizzato dai soci del Rotary Club»

Anche il tema ambientalista è presente in alcune importanti poesie di questa stagione senile, ma non con questa evidenza. Qui Montale fa esplicito riferimento a un evento di attualità molto discusso e a una lotta ecologista pionieristica. Con la scoperta dei Grattacieli, insomma, il corpus montaliano si arricchisce e acquisisce nuove interessanti sfumature.

Lo sguardo ecologico di Montale sembra avere come orizzonte la comprensione del rapporto tra individuo e ambiente, la rappresentazione della fallita coabitazione armonica tra questi due elementi…

Certo, credo che nei Grattacieli questo tema sia molto importante. Montale vuole mettere in evidenza un problema specifico, che è quello della moderna società dei consumi, dei nuovi ‘padroni del cielo’ che si sostituiscono con superbia al ‘vecchio dio’ e, mossi dalla smania di guadagno e di successo, non hanno alcun rispetto per ciò che è sacro, in primis la natura. Questo “sguardo ecologico”, qui particolarmente evidente, si ritrova in altri testi del ‘quinto Montale’, come Al mare (o quasi), nel Quaderno di quattro anni, dove la spiaggia è dominata da case di villeggiatura enormi e semideserte («un cane alano urla dall’inferriata / di una villa ormai disabitata / le ville furono costruite dai padri / ma i figli non le hanno volute / ci sarebbe spazio per centomila terremotati / di qui non si vede nemmeno la proda / se può chiamarsi così quell’ottanta per cento / ceduta in uso ai bagnini»), il mare è «infestato» e i rifiuti «formano ondulate collinette plastiche». Nei Nascondigli II, quasi un manifesto di poetica degli Altri versi, Montale parla del canto del merlo acquaiolo, il passero solitario leopardiano, che ricorda di avere udito, durante le villeggiature estive, nel canneto di Monterosso e che oggi «si ascolta forse nelle discoteche». Rispetto a quando era bambino il mondo appare mutato, «naturalmente in peggio».

 

L'Hotel Fuenti, in Costiera Amalfitana, prima della sua demolizione, avvenuta nel 1999 (Foto: Wikipedia)
L’Hotel Fuenti, in Costiera Amalfitana, prima della sua demolizione, avvenuta nel 1999 (Foto: Wikipedia)

 

Come Calvino ne Le città invisibili (1972), anche Montale sembra comprendere l’urgenza di evocare paesaggi ibridi, di costeggiare l’immaginario attraverso rappresentazioni disturbanti, atte a favorire, con i mezzi della letteratura, la formazione di una coscienza ambientale. Che ruolo ha la poesia in tal senso?

L’accostamento è interessante, anche perché Calvino è proprio uno degli intellettuali che aderirono, come Montale, al Comitato per la Difesa Culturale del Mezzogiorno, contro l’Hotel Fuenti. Nei Grattacieli la “rappresentazione disturbante” è ottenuta attraverso un richiamo a uno dei testi chiave della cultura occidentale: la Commedia dantesca.

L’edenica costiera, dopo la costruzione del ‘Mostro’, diventa un paesaggio infernale, accostato alla necropoli di Arles, gli Aliscampi, citata da Dante come termine di paragone per il sesto cerchio della città di Dite.

Questo è il girone dove è punito Farinata degli Uberti, che sorge dal sepolcro « da la cintola in sù», proprio come l’ecomostro (e il parallelismo è sottolineato dalla ripetizione del lemma ‘sorgere’). Ma questo è soprattutto il girone dove sono puniti coloro che «l’anima col corpo morta fanno», gli eretici. Nel moderno inferno capitalistico, i magnati della società dei consumi, come gli eretici di cui parla Dante, hanno perso la fede e la capacità di rispettare ciò che è sacro: per questo a loro non resta che «grattare il cielo» («e lascia pur grattar dov’è la rogna»). C’è anche chi però si oppone allo scempio ecologico e, se l’autore vuole condannare l’edificazione del ‘Mostro’, intende però anche mettere in evidenza il valore dei suoi oppositori, prima fra tutti Elena Croce. La figura femminile incarna, come consueto nell’opera di Montale, quel coraggio che il poeta stesso sente di non possedere, che può donare speranza e, quasi miracolosamente, tracciare una via di salvezza. Ecco, credo che la forza di questo testo sia riposta nell’icasticità con cui questi concetti così importanti sono espressi, l’efficacia con cui lo scenario infernale è mostrato, insomma, la capacità, propria della grande poesia montaliana, di mostrare «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

 

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Ginevra Amadio
Ginevra Amadio
Ginevra Amadio si è laureata con lode in Scienze Umanistiche presso l’Università Lumsa di Roma con tesi in letteratura italiana contemporanea dal titolo Raccontare il terrorismo: “Il mannello di Natascia” di Vasco Pratolini. Interessata al rapporto tra letteratura, movimenti sociali e
violenza politica degli anni Settanta, ha proseguito i suoi studi laureandosi con lode in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con tesi magistrale dal titolo Da piazza Fontana al caso Moro: gli intellettuali e gli “anni di piombo”. È giornalista pubblicista e collabora con webzine e riviste culturali occupandosi prevalentemente di letteratura otto- novecentesca, cinema e rapporto tra le arti. Sue recensioni sono apparse in Oblio (Osservatorio bibliografico della letteratura otto-novecentesca) e sulla rivista del Premio Giovanni Comisso. Per Treccani.it – Lingua Italiana ha pubblicato un contributo dal titolo Quarant’anni fa, anni di piombo, sulle derive linguistico-ideologiche che segnano l’immaginario dei Settanta.

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