La ricercatrice Emanuela Del Dottore

La ricercatrice Emanuela Del Dottore

Morbidi e ispirati dalla natura: ecco la nuova generazione di robot al servizio dell’ambiente

Semi, radici e piante rampicanti sono il modello di nuovi materiali e tecnologie sviluppati all’IIT di Genova. Possono esplorare suolo e aria senza impatti negativi sull’ecosistema, come racconta la ricercatrice Emanuela Del Dottore

All’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova c’è un laboratorio dove la biologia incontra la robotica. È il Bioinspired Soft Robotics Laboratory dove semi, radici e piante sono l’ispirazione per creare una nuova generazione di robot dedicati al monitoraggio ambientale. Realizzati con materiali biodegradabili e parti “morbide”, possono interagire con l’ambiente per raccogliere dati, esplorare il suolo e l’aria, monitorare la presenza di metalli pesanti. «Con l’approccio bioispirato partiamo dall’osservazione dei fenomeni che avvengono in natura, in particolare nel regno vegetale, per comprenderli e imitarli», spiega Emanuela Del Dottore, ricercatrice del Bioinspired Soft Robotics Lab.

«Ci ispiriamo alle piante per creare nuovi materiali, attuatori, sistemi più complessi come i robot, ma anche per capire le loro strategie di movimento, comunicazione e controllo». A

differenza dei robot utilizzati in ambito industriale, i sistemi sviluppati all’Iit hanno parti “morbide”, realizzate con materiali soffici che permettono di attutire gli urti, agevolare la presa e la manipolazione di oggetti con forma irregolare, esplorare superfici non uniformi. «Siamo nell’area della soft robotics, un filone di ricerca recente, ma che ha radici molto profonde nella bioispirazione. Gli animali, le piante, gli esseri viventi sono già stati disegnati al meglio per operare nell’ambiente in cui vivono. Perché non ispirarsi a loro per sviluppare le macchine?».

Il Plantoide: mini-stampanti 3D  e il movimento delle piante

Il laboratorio è guidato da Barbara Mazzolai, biologa con un dottorato di ricerca in Ingegneria dei microsistemi. Pioniera della robotica bioispirata, ha coordinato il progetto di sviluppo del Plantoide, il primo robot al mondo che si muove e cresce come una pianta. Se l’evoluzione del mondo animale ha privilegiato caratteristiche legate a movimento e velocità, quella del mondo vegetale è basata su lentezza e resilienza. Partendo dall’esplorazione del suolo, i ricercatori si sono chiesti come fanno le radici a crescere in un ambiente ostile, che ostacola il movimento. «Una caratteristica che è emersa è che, mentre gli animali si muovono da un punto A a un punto B, le piante si spostano con un movimento guidato dalla crescita – riprende Emanuela Del Dottore – L’allungamento cellulare che avviene nelle radici e nelle parti aeree è interpretabile come una strategia di movimento, e si è visto che le parti apicali hanno maggiore sensibilità e capacità percettiva».

 

 Guarda il video sul Plantoide 

 

Il team ha riprodotto queste capacità con piccole stampanti 3D, tipicamente utilizzate nella manifattura additiva, che simulano l’allungamento cellulare. Utilizzando un materiale termoplastico che viene depositato strato dopo strato con la tecnica di stampa 3D, le parti terminali del Plantoide crescono, come le radici di una pianta. «È una strategia di movimento efficiente per le piante e anche per i sistemi artificiali, che possono penetrare nel suolo e monitorare parametri come acqua, temperatura, sostanze chimiche attraverso i sensori di cui sono dotati». Lo sviluppo di sistemi così articolati richiede diverse competenze. Il team è infatti composto da biologi, chimici, fisici, ingegneri e informatici che affrontano il problema da diversi punti di vista.

 

 

Il plantoide
Il plantoide è il primo robot al mondo che cresce e si muove proprio come una pianta

 

Come fanno a capirsi e a collaborare? «Ciò che ci unisce è la curiosità, la volontà di rispondere alla stessa domanda. Partendo da questa base, riusciamo a costruire un linguaggio comune», spiega Del Dottore, che dopo la Laurea in Informatica ha conseguito un dottorato in Biorobotica. Oggi si occupa dell’analisi comportamentale e della traduzione del controllo, e dalle piante ha imparato “il valore dell’essenzialità”. «Le piante non hanno un cervello come il nostro, ma sono un modello di controllo distribuito. I processi fisiologici sottostanti non sono semplici e la biologia deve capire ancora tante cose…ma le piante riescono a svolgere compiti complessi seguendo regole semplici. È questo che cerco di comprendere e che mi colpisce, rispetto alla complessità della società umana».

Dal Plantoide al Wood Wide Web

Attualmente il team lavora su tre progetti: GrowBot, ispirato dalle piante rampicanti, I-Seed, dalle strategie di dispersione dei semi, I-Wood, dalle simbiosi che si instaurano tra piante e funghi. GrowBot si basa sulle strategie di movimento delle piante rampicanti, che crescono in sospensione o si avvolgono per grandi lunghezze attorno a un supporto, come i viticci. «Sono strategie di movimento che si possono applicare a un sistema robotico autonomo, che sfrutta questa alternativa di locomozione basata sulla crescita. Può essere utilizzato per monitorare l’aria o raggiungere aree dove il terreno è accidentato e non possono arrivare robot o altre mezzi via terra». All’interno di questo progetto è stato sviluppato un prototipo di velcro soffice, biodegrabile e solubile, ispirato alla struttura a micro-uncini delle foglie della pianta “attaccamani” (Galium aparine), che può essere utilizzato in dispositivi per il monitoraggio ambientale e l’agricoltura di precisione. 

 

Guarda il video sul velcro biodegradabile 

 

Il progetto I-Seed studia le strategie di dispersione dei semi ed è realizzato in collaborazione con l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, l’Istituto sull’inquinamento atmosferico (IIA) del CNR e altri partner europei.

«È un progetto interessante perché i semi sono strutture che, pur essendo morte, compiono un movimento. Sono quindi di ispirazione per lo sviluppo di attuatori a dispendio energetico zero. I semi si muovono grazie al design fatto dalla natura, al materiale di cui sono costituiti e all’interazione con uno stimolo ambientale, in genere l’acqua. Stiamo cercando di replicare il design dei semi di avena e di erodium, con particolare attenzione alla scelta del materiale, perché puntiamo ad avere dispositivi completamente biodegradabili».

I semi robotici possono essere disseminati in un’area e monitorati dall’alto con droni per rilevare, attraverso emettitori di fluorescenza, la presenza di metalli pesanti. Il progetto I-Wood, finanziato dall’European Research Council, studia le strategie di comunicazione da pianta a pianta attraverso le reti fungine sotterranee, che consentono lo scambio di sostanze nutritive e informazioni.

 

Un'altra suggestiva immagine del velcro biodegradabile
Un’altra suggestiva immagine del velcro biodegradabile

 

Le reti fungine hanno un ruolo fondamentale nella protezione degli ecosistemi naturali e della biodiversità e, in analogia con il World Wide Web sono state soprannominate “Wood Wide Web”, ovvero la rete mondiale degli alberi. Comprendere le dinamiche della comunicazione tra piante permetterà, un giorno, di realizzare robot e sistemi di intelligenza artificiale ispirati al Wood Wide Web.

«Non c’è ancora consenso condiviso sul fatto che le piante abbiano un’intelligenza, ma sta nascendo il nuovo filone della neuroscienza delle piante, in cui sta conducendo ricerche il professor Stefano Mancuso dell’Università di Firenze. Di fatto le piante elaborano e processano i segnali che ricevono dall’ambiente. Come processano i dati e come li usano è un campo ancora da esplorare». 

I progetti, finanziati dall’Unione Europea, sono ad alto rischio e basso indice Trl (Technology Readiness Level), ovvero non hanno un immediato impatto sul mercato. «Partiamo dalla ricerca di base, dallo studio di un fenomeno naturale per arrivare alla sua traduzione in sistemi e piattaforme tecnologiche, quindi le tempistiche sono lunghe», sottolinea Del Dottore. «Tuttavia hanno grandi potenzialità per il monitoraggio dell’ambiente». Per facilitare la condivisione delle conoscenze e la realizzazione di progetti specifici, l’IIT ha avviato una collaborazione con enti e imprese del territorio ligure attraverso l’ecosistema dell’innovazione RAISE, finanziato con i fondi del Pnrr. 

Saperenetwork è...

Sara Brunelli
Veneta di origine e milanese d’adozione, dal 2003 scrive di scienza e tecnologia, con particolare interesse per robotica, intelligenza artificiale, impatto del digitale sulla società e sull’ambiente. Dopo la laurea in Matematica e un Master in Comunicazione Scientifica ha collaborato con l’Università di Milano per la mostra “Simmetria, giochi di specchi”, il Museo della Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci”, la rivista di divulgazione scientifica “Newton” e altre testate e siti siti web. Accanto all’attività giornalista è docente presso un ente di formazione professionale, dove insegna matematica e informatica e re-impara a vedere il mondo attraverso gli occhi di ragazze e ragazzi. I loro sogni e le loro aspettative sono ispirazione per costruire ogni giorno un mondo migliore e mettere le parole al servizio di un futuro più sostenibile.

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