Una scena di Avatar

Avatar, di James Cameron, è uscito in Italia nel 2010

Avatar, la vita innanzitutto. Perché rivederlo oggi

Segna la nascita del moderno cinema in tre dimensioni, ma è anche il manifesto ecologista del suo autore, James Cameron, da sempre affascinato dalla natura. Avatar è la summa di tutte le aspirazioni ecologiste di cento anni di cinema, da Buster Keaton ai film catastrofisti di Hollywood

«L’energia della terra è solo in prestito, arriverà il momento in cui dovremo restituirla» spiega Neytiri, la protagonista del film Avatar, al terrestre Jake Sully  mostrando le tradizioni di sepoltura dei morti nella sua cultura. Neytiri è un’aliena, della specie dei Na’vi, umanoidi che vivono su Pandora, una delle lune di Polyphemus, pianeta gigante gassoso che orbita intorno alla stella Alpha Centauri A, a 4,4 anni luce dalla Terra. Tanto Pandora ricorda un Eden ritrovato, quanto il nostro pianeta, che non viene mai inquadrato nel film, è una terra desolata, condannata all’estinzione.

James Cameron, visionario ecologista

La pellicola diretta da James Cameron non volge mai lo sguardo sulla catastrofe ecologica che ha colpito la patria degli umani, descritta nel volume James Cameron’s Avatar. Rapporto confidenziale sul mondo di Pandora di Dirk Matheson e Maria Wilhelm (Rizzoli, 2010): «Gli eserciti dell’avidità hanno sfigurato la Terra e le sue creature. Con la nostra insaziabile fame di energia, abbiamo devastato il pianeta. E ora ci troviamo immersi fino al collo in una suppurante melma industriale, un letamaio di desolazione e rovina in costante espansione. La sovrappopolazione, il sovra sviluppo, il terrorismo nucleare, le guerre ambientali, le radiazioni, le esalazioni venefiche delle centrali nucleari e delle discariche, i liquami tossici, l’inquinamento dell’aria, la deforestazione, l’effetto serra, l’impoverimento dello strato di ozono, la scomparsa della biodiversità… ». E ancora:

«La nostra Terra, un tempo verde azzurra e ricca di bellezze, si è ridotta a un disgustoso pozzo nero, una piaga ulcerosa e dolente che deturpa l’universo. Un dollaro dopo l’altro, abbiamo comprato la nostra stessa estinzione».

Guarda il trailer ufficiale di Avatar

E ancora: «Come sapete non esistono più parchi nazionali, ma solo colture intensive e agglomerati di palazzoni che paiono alveari. Il grande Yosemite, con le sue torreggianti cupole di granito e i picchi spettacolari, oggi è un’accozzaglia di condomini di lusso. Il Grizzly Giant, la sequoia di 64 metri che si è erta fiera per millenni, da tempo è stata abbattuta per farne legna da ardere. (…) Sulle rive degli oceani, la maggior parte dei terreni è usata per la maricoltura: l’unica speranza nutritiva in grado di sfamare tutti, di questi tempi, è la spirulina».

Da Balla coi Lupi ad Avatar, oltre il mito del buon selvaggio

Tutto ciò viene risparmiato allo spettatore: è semmai qualche battuta allusiva dei personaggi a far capire che i terrestri hanno abbandonato un pianeta allo stremo. Avatar bandisce la rappresentazione delle catastrofe e si concentra sulla ricostruzione di Pandora, la cui ecologia (in senso scientifico)  si è evoluta al punto da creare una rete dei viventi molto più forte che non sulla Terra.  Animali e piante sono infatti in relazione fra loro attraverso una fitta rete neurale di collegamenti biologici che la natura ha sviluppato da sola. Il pianeta sembrerebbe dotato se non di un’autocoscienza collettiva, di certo della capacità di trasmettere sensazioni, un’empatia planetaria. Il modello Gaia, il Pianeta vivente, che ora ha anche un abbozzo di coscienza.

 

L’intreccio intorno al quale il film di Cameron si sviluppa è abbastanza semplice: i terrestri da tempo si riforniscono di un particolare minerale altamente conduttore e di grande valore, l’“unobtainio”, che esiste solo su Pandora. Le operazioni di scavo sono gestite da privati con l’ausilio di milizie mercenarie, necessarie per lo sgombro e il contrasto delle popolazioni native, i Na’vi. I privati che gestiscono la risorsa mineraria, consentono a degli scienziati di studiare l’ecologia del pianeta e i costumi dei Na’vi. Per farlo vengono utilizzati dei cloni alieni in cui i terrestri possono riversare la propria coscienza, degli avatar veri e propri. Jake Sully acquisirà il controllo di uno di questi avatar allo scopo di trattare con le popolazioni locali e convincerle ad abbandonare il proprio territorio, ricco di unobtainio. Sully fraternizza al punto coi Na’vi che, innamoratosi della figlia del capo tribù, si ribellerà agli umani. Solo dopo una devastante battaglia gli abitanti di Pandora riusciranno a cacciare i terrestri e Sully abbandonerà il suo corpo umano per vivere per sempre nel suo avatar alieno. Le similitudini con il racconto di Pocahontas o con Balla coi lupi sono evidenti, ma Avatar si spinge ben oltre il mito del buon selvaggio.

 

Balla coi lupi
Balla coi lupi, di Kevin Costner (1990), interpreta il mito del buon selvaggio

Rivoluzione verde

La rivoluzione verde del film di Cameron è proprio nella costruzione di un mondo nuovo in cui la cultura dei Na’vi, ma addirittura la loro stessa fisiologia e quella dell’intero pianeta ha intrapreso una strada diversa da quella terrestre. A confronto dei Na’vi, gli umani sembrano aver invece imboccato un vicolo cieco evolutivo nel quale intendono trascinare il resto dell’universo. Se Balla coi lupi si chiudeva con i protagonisti che si allontanavano fra le montagne e con una scritta che annunciava la fine dei Sioux, Avatar, forse anche per ragioni commerciali (si attende da un decennio infatti un Avatar 2), si chiude con un’esplicita rinascitaLì prevaleva la morte, qui è la vita.

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Storie di catastrofi annunciate

Persino un film dichiaratamente ecologista  come 2002, La seconda odissea (Silent Running, 1971) regia di Douglas Trumbul e sceneggiatura di Michael Cimino, lasciava perire l’umanità lanciando nello spazio una nave-serra, piena di piante, come un messaggio in una bottiglia dal quale gli umani dovevano rimanere lontani. In tempi più recenti, E venne il giorno (The Happening, 2008) del regista M. Night Shyamalan, racconta la fine dell’umanità per mano di un indefinito veleno rilasciato dalla natura, come un anticorpo che voglia liberarsi di noi come di un agente patogeno. L’alba del giorno dopo (The day after Tomorrow, 2004) di Roland Emmerich salva scampoli di umanità, che forse ricostruiranno la civiltà, ma il pianeta è comunque devastato dai cambiamenti climatici.

Per non dire de Il Pianeta delle scimmie (Planet of the ape, 1968) di Franklin J. Schaffner, quello originale, dove l’umanità si è autodistrutta, devoluta allo stadio di bestie e le scimmie hanno ereditato il pianeta, ma anche gli stessi vizi degli uomini, a significare che non può esserci evoluzione senza peccato.

 

Planet of Apes
Un fotogramma di Planet of Apes di Franklin J. Schaffner (1968)

Anche il capolavoro di Kubrik, Il dottor Stranamore (Dr. Strangelove or How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, 1963), potrebbe essere incluso in questa lista. E l’elenco potrebbe continuare. Ne I figli degli uomini (Children of Men, 2006), Alfonso Cuarón racconta di un’umanità letteralmente sterile, ma l’ambientazione futuribile non è distinguibile dal degrado in cui già versano le attuali periferie delle grandi metropoli.

Apocalissi nucleari e crisi ecologiche

Tutti film più o meno eredi del filone catastrofista degli anni Sessanta e Settanta, da un lato, e dei film sulla paura atomica, dall’altro. Primo fra tutti L’ultima spiaggia (On the Beach, 1959) di Stanley Kramer, classico colossal con cast di grandi star, fra le quali Gregory Peck, Ava Gardner, Fred Astaire, Anthony Perkins: una guerra nucleare ha spazzato via la vita dal pianeta e tra i pochi superstiti c’è l’equipaggio di un sottomarino che, approdando alla coste della California, entra in contatto con una piccola comunità di altri sopravvissuti, ma lo spettro del vento atomico incombe su tutti. Siamo in piena guerra fredda e Kramer, anche produttore della pellicola, non esita a mettere in scena un duro e asciutto atto di denuncia verso i rischi delle conseguenze di un conflitto nucleare.

 

The day after
The day after (1983) di Nicholas Meyer

Tema ricorrente da lì in poi nel cinema e che si esaurirà completamente negli anni Ottanta con film come The day after (1983) di Nicholas Meyer e il cartone animato Quando soffia il vento (When the wind blows, 1986) di Jimmy Teru Murakami. In entrambi assistiamo al declino fisico dei protagonisti, fino alla morte, dovuto ad un attacco atomico. Opere che riescono ad essere minimaliste nella messa in scena, ma universali nel sentimento e nel senso politico.

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Un anno prima di Avatar è uscito nelle sale Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still, 2008) di Scott Derrickson. Si tratta, è vero, del remake dell’omonimo e famosissimo film di Robert Wise del 1951, ma, dove nell’originale gli extraterrestri minacciavano di distruggere la Terra se gli uomini non avessero compiuto una radicale e definitiva scelta pacifista, nella versione del 2008 gli alieni vengono a punirci per aver causato l’avvelenamento della vita sulla Terra, in altre parole di aver causato la crisi ecologica. Il film è apocalittico e il protagonista, il messianico Klatuu, interpretato da Keanu Reeves, incombe come i frati del “Penitenziagite” del Nome della Rosa.

Avatar capovolge tutto ciò. L’idea di non mostrare la catastrofe incombente sulla Terra è la cifra di un film che evidentemente non vuole intrattenerci con la fine di una civiltà (o di un pianeta), ma che anzi gioca la carta delle rinascita ecologista.

Rinascita ecologista, tra mito e politica

La nuova alleanza che Jake Sully  propone fra uomo e natura (Madre Natura) è allo stesso tempo mitologica e politica. Mitologica perché essa avviene attraverso una morte e una resurrezione (Sully abbandona il corpo terrestre e si reincarna in quello alieno del suo avatar) ma che nulla hanno di magico o anche lontanamente di teosofico, saggiamente evitando di cadere nell’estetica new age. Politica perché alla fine del dramma si propone un nuovo patto fra terrestri e alieni, su una base di reciproco rispetto e sostenibilità delle risorse.

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Potremmo aggiungere che la cura maniacale con la quale è stata pensata e realizzata l’ambientazione di Pandora non è solo un capolavoro di scenografia, ma è anche uno sforzo intellettuale di immaginare un mondo in cui l’evoluzione abbia assunto strade diverse, seppure per molti aspetti convergenti. Sebbene si sia, infatti, nel regno della fantasia, anzi della fantascienza, si può affermare che l’opera abbia fatto affidamento a biologi, naturalisti e antropologi non meno, per esempio, di Gorilla nella nebbia, film dal quale Avatar, in una simmetria non casuale, eredita la protagonista: quella Sigurney Waever che là interpretava la primatologa Dian Fossey, assassinata dai bracconieri nel 1985, e che qui interpreta l’etnologa che studia i Na’vi (e che finirà uccisa dai militari).

 

The Day the Earth Stood Still (Ultimatum alla Terra)
The Day the Earth Stood Still (Ultimatum alla Terra), di Robert Wise (1951)


L’approccio scientifico e quindi ecologico
diventa uno dei due cardini intorno ai quali si sviluppa il film. L’altro è quello meta cinematografico in cui la proiezione in tre dimensioni diventa la svolta del nuovo cinema, per cui il saluto tipico dei Na’vi, “io ti vedo”, diventa anche il manifesto programmatico della nuova visione, sintetizzata, anche questa, nell’immagine che chiude programmaticamente la pellicola: i grandi occhi gialli dell’avatar in cui si reincarna Sully.

Avatar ci lascia, in ultima istanza, con un messaggio di laico ottimismo, liberi dal cilicio da Nome della Rosa, con una resurrezione che non è né divina né dovuta ad un deus ex machina, ma scientifica (per quanto fantastica) e quindi alla portata della nostra limitata esistenza.

Appunto una nuova alleanza, un nuovo patto. Un new deal ecologista.

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Marco Gisotti
Giornalista professionista e divulgatore, cura e conduce le puntate dedicate ai temi ambientali per la trasmissione Wikiradio, in onda Rai Radio 3. Dirige il premio “Green Drop Award” realizzato insieme a Green Cross international presso la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Scrive per la rivista “Materia Rinnovabile”, occupandosi d’innovazione. Come autore televisivo ha scritto la serie d'animazione “Due amici per la Terra”, in onda su Rai3 e il documentario “Cinema & Ambiente” per Dixit scienza, su Rai Storia. È tra i curatori del rapporto annuale GreenItaly di Unioncamere. È direttore scientifico del centro studi Green Factor, cura la rubrica web quotidiana “Un giorno alla volta”, fa parte dell'ufficio di presidenza della FIMA, Federazione Italiana Media Ambientali.

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