Johnny Depp e l'attrice franco-giapponese Minami

Il caso Minamata, con Johnny Depp e l'attrice franco-giapponese Minami

Che fra il 2020 e il 2021 la nostra cinefilia abbia subito un brutto colpo non è una novità. Uno dei settori più colpiti dalla pandemia è stato, infatti, quello cinematografico.

Personalmente l’ultimo film visto in sala alla vigilia del primo lockdown è stato “Cattive acque” (“Dark Waters”, Usa) di Todd Haynes. Una vicenda alla Erin Brocovich: la storia vera di un avvocato di Cincinnati, Robert Bilott interpretato da Mark Ruffalo, che rivela come la DuPont avesse sversato per anni sostanze chimiche nelle acque che servivano la cittadina di Parkersburg. Una storia esemplare di Davide contro Golia.

 

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Scandali ambientali e impegno civile

Il film si basa sull’articolo inchiesta di Nathaniel Rich pubblicato nel 2016 sul New York Times Magazine, “The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare”. La DuPont aveva smaltito PFOA per decenni ben sapendo che questo provocava il cancro ma senza aver mai reso pubblici i suoi studi. Il film ripercorre questo caso in maniera secca, quasi documentaristica, rendendo l’idea dell’impegno civico del suo protagonista e del dolore delle vittime, ma anche delle scappattoie legali del colosso della chimica.

 

L'attore Mark Ruffalo, protagonista del film Cattive acque
L’attore Mark Ruffalo, protagonista del film Cattive acque

 

Un film cui fa eco una storia simile di un’altra pellicola che, vittima della cancel culture contro il suo protagonista, non ha avuto distribuzione in sala e nei mesi scorsi da noi è finita direttamente su Sky e in DVD, è “Il caso Minamata” (“Minamata”, Usa) di Andrew Levitas. Protagonista Johnny Depp. Minamata è forse lo scandalo ambientale più famoso e duraturo della storia.

Esploso nel maggio del 1956, quando un medico dell’ospedale di Nichitsu denuncia alle autorità locali “un’epidemia di una malattia sconosciuta del sistema nervoso centrale” che verrà poi battezzata come “morbo di Minamata”.

 

un'immagine del film Il caso Minamata
Un’immagine del film Il caso Minamata

 

Il “morbo” altro non era che gli effetti sul sistema nervoso dell’inquinamento da metilmercurio che attraverso i pesci era entrato nell’alimentazione umana dei pescatori della baia di Minamata. Il metilmercurio era lo scarto di lavorazione della fabbrica Chisso che lo aveva smaltito per oltre venti anni senza preoccuparsi delle conseguenze. Il film ripercorre più o meno questa vicenda attraverso gli occhi di William Eugene Smith, vero fotografo americano, interpretato da Depp, che negli anni Settanta realizzò per la rivista Life un reportage fotografico sul caso Minamata. Opera che merita di essere recuperata e fatta vedere, anche nelle scuole.

Taranto nei film, oggi e ieri

Sebbene in questo biennio i film in sala siano stati scarsi, non mancano però altri titoli che vale la pena di inserire in una ideale cinquina dal germe green.

Due ragazzi armati in un fotogramma di Mondocane, opera prima di Alessandro Celli
Un fotogramma di Mondocane, opera prima di Alessandro Celli

 

Uno di questi è senz’altro “Mondocane” di Alessandro Celli, presentato a Venezia a settembre 2021 e uscito subito in sala con la prima ondata di film post pandemici. E “post” lo è davvero perché “Mondocane” potrebbe essere inserito in quel genere di opere post-apocalittiche alla “Mad Max”. Ambientato in una Taranto sopravvissuta malamente alla sua acciaieria, recintata dal filo spinato, è la storia di formazione di due orfani appena tredicenni, Pietro e Christian, che vogliono entrare nella gang locale delle Formiche.

 

Sergio Rubini e Rocco Papaleo, protagonisti de Il Grande Spirito
Sergio Rubini e Rocco Papaleo, protagonisti de Il Grande Spirito

 

Colpisce come Taranto fosse anche il teatro di un altro film, “Il grande spirito” di Sergio Rubini, che nel 2019 (attenzione: questo film vale come jolly e non concorre alla cinquina 2020-2021… ndr) costruiva una favola dal sapore ecologista intorno al corpo e all’interpretazione di Rocco Papaleo. Per Papaleo forse l’espressione “indiano metropolitano” assume un nuovo e più letterale significato, tenendo sempre la “Fabbrica” sullo sfondo, come un totem (o un tabù, dipende dai punti di vista) dal quale la coscienza moderna non può e non deve affrancarsi.

Favole ecologiste, docufilm e grandi classici

Per i più piccoli – ma chi ci crede più che il cinema di animazione sia solo per i più piccoli? – c’è, poi, “WolfWalkers – Il popolo dei lupi” (“Wolfwalkers”, Irlanda/Lussemburgo/Francia) di Tomm Moore e Ross Stewart. Ispirato alla mitologia irlandese, è ambientato nel 1650 in una foresta che lentamente viene disboscata dal malvagio Lord Protector che in aggiunta vuole sterminare tutti i lupi che la abitano e per questo ingaggia un cacciatore.

 

Due personaggi del film animato Wolfwalkers
Un’immagine di Wolfwalkers, capitolo finale di una trilogia ispirata alla mitologia irlandese

Senza rovinare la sorpresa, in questo caso, siamo davvero davanti ad una vera favola ecologista dove le protagoniste sono anche giovani attiviste, “mezzi lupi, mezze streghe, mezzi umani”! Distribuito su piattaforma Apple, potremmo dire che si colloca fra Greta e le opere del grande Miyazaki.

Quinto titolo, per chi ha apprezzato “Antropocene”, degli stessi autori, Jennifer Baichwal ed Edward Burtynsky, a ottobre 2021, con qualche anno di ritardo rispetto al resto del mondo, è uscito nel nostro Paese “Watermark – L’acqua è il bene più prezioso”.

 

il documentario Watermark
Il documentario Watermark sul ruolo dell’acqua nella vita delle popolazioni

 

Come in “Antropocene” non si fanno sconti: il tema questa volta è più specifico e, dal delta del fiume Colorado alla più grande diga ad arco del mondo di Xiluodu, dalle fattorie galleggianti al largo della costa del Fujian in Cina fino alla centrale geotermica di Cerro Prieto in California, siamo di fronte ad un catalogo dello sfruttamento umano delle acque, quasi mai sostenibile.

Infine, un evergreen, che vale sempre la pena di vedere e rivedere e riconciliarsi con l’ambiente: consiglio, quindi, di recuperare durante le feste “Avatar” di James Cameron, manifesto del nuovo cinema digitale in 3D, uscito nel 2009 con un successo planetario.

Una scena di Avatar
Avatar, il film di James Cameron campione di incassi

 

Era anche il manifesto del green deal dell’amministrazione Obama, presagendo un nuovo patto fra uomo e natura (ma avvertendo che in futuro sarà possibile solo dopo che si sarà consumata la catastrofe). Come molti ricorderanno è, infatti, la storia della colonizzazione umana di un nuovo rigoglioso pianeta che i terrestri, avendo perduto la propria patria, vogliono sfruttare come una miniera a cielo aperto. Nessuno spoiler ma non gli andrà bene. I nativi vinceranno sugli umani e proporranno a questi un nuovo patto, ecologico, per convivere. Da rivedere anche perché c’è tutta una nuova generazione che deve ancora scoprirlo e presto uscirà il seguito che, ancora una volta, ci dirà che, almeno al cinema, un Pianeta B ci sarà sempre.

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Marco Gisotti
Giornalista professionista e divulgatore, cura e conduce le puntate dedicate ai temi ambientali per la trasmissione Wikiradio, in onda Rai Radio 3. Dirige il premio “Green Drop Award” realizzato insieme a Green Cross international presso la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Scrive per la rivista “Materia Rinnovabile”, occupandosi d’innovazione. Come autore televisivo ha scritto la serie d'animazione “Due amici per la Terra”, in onda su Rai3 e il documentario “Cinema & Ambiente” per Dixit scienza, su Rai Storia. È tra i curatori del rapporto annuale GreenItaly di Unioncamere. È direttore scientifico del centro studi Green Factor, cura la rubrica web quotidiana “Un giorno alla volta”, fa parte dell'ufficio di presidenza della FIMA, Federazione Italiana Media Ambientali.

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