La serra tropicale del Museo delle Scienze di Trento, in cui è stata scoperta una nuova specie di lumaca (Foto: Enrico Nicosia)

Muse, dieci anni di mostre, eventi e ricerca – Seconda parte

Un immenso patrimonio di fossili, rocce, minerali, campioni di erbario e reperti zoologici, laboratori di ricerca che studiano l’impatto antropico sull’ambiente e un dialogo aperto con le persone all’insegna della Citizen Science. Continua il nostro viaggio dentro il Museo delle Scienze di Trento

Per ricostruire la storia naturalistica delle Alpi orientali, i ricercatori del Museo delle Scienze di Trento studiano le tracce nascoste all’interno dell’immenso patrimonio museale: oltre cinque milioni di reperti, organizzati in più di 300 collezioni e assemblati a partire dal 19° secolo. «Le nostre collezioni archeologiche e naturalistiche sono il risultato di un’attività che dura da più di 150 anni» racconta Maria Chiara Deflorian, naturalista e curatrice delle collezioni del Muse.

 

Maria Chiara Deflorian, curatrice delle collezioni naturalistiche e archeologiche, con un cranio di orso bruno (Foto: Enrico Nicosia)

 

«I reperti archeologici, che comprendono manufatti e resti archeozoologici provenienti dai siti preistorici della zona, sono stati raccolti prevalentemente a partire dagli anni ’60, quando il Museo di Storia Naturale di Trento (nato nel 1922) divenne il Museo Tridentino di Scienze Naturali. La collezione naturalistica invece è ancora più antica e annovera reperti raccolti a partire da metà del 1800, se non prima. Sono un vero e proprio spaccato di storia museale del nord Italia, che abbiamo il compito di custodire, preservare e valorizzare».

Collezioni che raccontano 300 milioni di anni

Minerali, fossili, rocce, campioni di erbario e reperti zoologici, con circa 2 milioni di campioni di invertebrati e 15.000 di vertebrati, sono custoditi nei depositi del museo alla temperatura costante di 15°C per proteggerli dagli eventi biologici e dall’attacco dei parassiti. Di questo immenso patrimonio, appena l’1% è esposto nelle sale del Muse ed è più che sufficiente per ricreare un viaggio dalle viscere della catena alpina fino alle sue vette più estreme e raccontare 300 milioni di anni di storia naturale.

 

Le rocce della catena alpina esposte al Muse
Le rocce della catena alpina (Foto: Enrico Nicosia)

 

Dai piani più bassi del museo, dove ricostruzioni di antichi dinosauri e animali tassidermizzati provenienti da ogni angolo del mondo sono sorvegliati dallo scheletro gigante di una balenottera, fino alla terrazza con vista sulla Valle dell’Adige, si incontrano rocce che compongono le Dolomiti, diorami interattivi sui meccanismi geologici che regolano il nostro pianeta e simulazioni che descrivono le condizioni del passato, i problemi del presente e gli scenari futuri di un ambiente prezioso e fragile come le vette alpine. In mezzo a tutto questo, il labirinto della biodiversità alpina: camosci, lepri, linci, cervi, orsi, lupi e rapaci. Centinaia di animali tassidermizzati che descrivono la varietà e la ricchezza di specie dell’arco alpino.

 

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Una finestra sulla ricerca

Il Muse non è però solo una “galleria” del mondo naturale. Il motore che lo spinge avanti è la ricerca. Un motore neanche troppo nascosto visto che i laboratori del Muse si trovano proprio fra le sale espositive, all’interno di pareti trasparenti che permettono di sbirciare il lavoro di tecnici e ricercatori. Biologi all’opera per cercare tracce dei microrganismi che abitano i fiumi e i torrenti delle Alpi, archeozoologi che studiano scheletri e reperti del passato, geologi alle prese con la classificazione di rocce e minerali. Negli open labs lavorano circa 40 ricercatori per sviluppare nuove strategie di conservazione della biodiversità e degli ecosistemi, ricostruire l’evoluzione del rapporto fra umani e mondo naturale e studiare l’impatto antropico sull’ambiente.

 

Campioni dell’erbario del Muse, di grande rilievo nel panorama botanico italiano, con 150.000 campioni (Foto: Enrico Nicosia)

 

Non solo. Dagli spazi del museo arriva anche la scoperta di nuove specie. Recentemente alcuni ricercatori dell’Università di Siena, del Museo di Storia Naturale dell’Accademia dei Fisiocritici e dell’Università Adam Mickiewicz di Poznań, in Polonia, hanno scoperto una nuova specie di lumaca nella serra tropicale del Muse. Ribattezzata Barkeriella museensins, in onore del malacologo Gary Barker e del Muse dove è stata riconosciuta per la prima volta, la piccola lumaca lunga appena due centimetri appartiene alla famiglia Rathouisiidae, molluschi diffusi dall’Asia orientale all’Australia. I ricercatori ancora non sanno come questa lumaca esotica sia entrata al museo. L’ipotesi più probabile è che sia arrivata nel terriccio o su alcune piante che compongono la foresta all’interno del Muse e la sua scoperta potrebbe aiutare gli esperti a capire alcune dinamiche della diffusione delle specie aliene. Una delle principali minacce alla biodiversità globale.

Lo “sportello del naturalista”

L’avanzamento delle conoscenze scientifiche del museo fa affidamento però anche su un altro contributo prezioso: quello delle persone. Tramite la pagina social “Citizen Science MUSE”, chiunque può inviare agli esperti del museo segnalazioni di animali, piante e rocce che non conosce. Dagli insetti che si aggirano dentro casa, alle impronte sconosciute che incontriamo lungo i sentieri di montagna, passando per gli uccelli che fanno una piccola sosta nei giardini, qualsiasi dubbio “naturalistico” può trovare una risposta inviando foto e riferimenti dell’avvistamento. «È una sorta di sportello del naturalista, con segnalazioni provenienti da tutta Italia e non solo, che aiuta le persone a conoscere il mondo naturale e noi a raccogliere nuove dati» ci dice Karol Tabarelli de Fatis, zoologo del Muse. Tramite la piattaforma, infatti, i ricercatori del museo ricevono molte segnalazioni di specie rare che, una volta convalidate dagli esperti, aiutano a compilare gli atlanti della biodiversità locale.

 

L’aumento dei terreni coltivati nei fondovalle del Trentino ha fatto quasi sparire stagni, paludi, canneti e boschi ripariali del territorio. Il Biotopo del Muse ne ricorda l’importanza ecologica
(Foto: Enrico Nicosia)

 

Punto di riferimento per cittadinanza e ricercatori da ormai dieci anni, il Muse rinnova adesso la sua missione. Lo fa creando nuovi spazi come il biotopo, la piccola zona umida del Muse dove crescono rare piante palustri che rischiano di sparire dal territorio, e aumentando le opportunità per vivere il museo. Un esempio è la mostra temporanea “Wild City. Storie di natura urbana” che racconta il rapporto fra umani e mondo selvatico all’interno delle città e prova a immaginare come dovrebbero essere gli spazi urbani del futuro in un’ottica di coesistenza (fino al 5 novembre ). Oppure l’iniziativa “Muse fuori orario”, un ciclo di incontri serali con i quali scoprire i segreti del mondo naturale fino a tarda notte. Sono solo alcuni degli eventi che faranno da cornice alla festa di compleanno del Muse, prevista il prossimo 22 luglio.

 

Saperenetwork è...

Enrico Nicosia
Naturalista rapito dal fascino per il mondo naturale, sommerso e terrestre, e dei suoi abitanti, spera un giorno di poterli raccontare. Dopo la Laurea in Scienze della Natura presso l’Università di Roma “La Sapienza” va in Mozambico per un progetto di conservazione della biodiversità dell’Africa meridionale. Attualmente collabora come freelance con alcune testate come Le Scienze, Mind e l’Huffington Post Italia, alla ricerca di storie di ambiente, biodiversità e popoli da raccontare

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