L'architetto Paolo Scoglio

L'architetto Paolo Scoglio

«Un modo nuovo di stare in natura, vivendo con un impiego minore di risorse». È una filosofia essenziale quella che l’architetto Paolo Scoglio ribalta nei suoi progetti di microabitalità in natura, dalle case sugli alberi alle strutture che si fondono con il paesaggio. 49 anni, di Casale Monferrato, in Piemonte, Scoglio è architetto design manager di the ne[s]t studio che ha fondato e dove lavora con un team di professionisti specializzato nella progettazione e nella realizzazione di architetture in simbiosi con la natura, per clienti privati, operatori turistici e pubbliche amministrazioni, e che opera in tutta Italia, ma anche all’estero, principalmente in Svizzera. In Finlandia, nella zona di Kouvola, non lontano da Helsinki, a breve installeranno una zona all’aria aperta dove testare i prodotti.

 

progetto abitativo in svizzera
Un progetto abitativo realizzato da Paolo Scoglio in Svizzera

 

Architetto, da dove nasce la sua attenzione per la sostenibilità?
Sono cresciuto in un contesto tra città e campagna, ma è nel corso dei miei studi universitari che questa passione è esplosa. Negli anni novanta un tema come la sostenibilità, oggi imprescindibile nella formazione di un professionista, era agli albori. Mi laureai, già allora, con una tesi sulle architetture sostenibili in legno e iniziai a lavorare per un’azienda che faceva edifici in quel materiale. Ho poi affinato la mia formazione in Germania e, al rientro in Italia, ho capito che era arrivato il momento di diffondere queste tecniche, che insegno anche al Politecnico di Torino nell’ambito di corsi sulla tecnologia del legno. Il mio approccio minimal green ha ancora più senso in un momento come questo di grande sconvolgimento globale, dalla pandemia alla crisi economica al cambiamento climatico.

Quali sono i capisaldi dei suoi progetti di microabitabilità in natura?
Il primo è la necessità di abitare luoghi minimi. La dotazione di spazio è una cosa che ci diamo noi umani, in funzione delle nostre abitudini e comodità. Io ho provato a ripensarla tenendo conto che le risorse e lo spazio sul pianeta sono limitati. Secondariamente, bisogna imparare ad abitare in modo reversibile, perché ciò che siamo oggi non è ciò che saremo domani. Gli spazi devono poter essere trasformabili o eliminabili con un impiego di energia limitato. Per questo già oggi progetto ogni spazio prevedendone la futura dismissione e in modo che non lasci impronta sul paesaggio. Infine, il nostro modo di fare architettura va nella direzione di un minor impiego di risorse, sia per la casa che per vivere. Per questo le dimensioni delle mie “architetture intelligenti” sono sempre molto contenute, si va dai 10 ad un massimo di 40 metri quadrati. Il richiamo è all’approccio nautico, dove meno hai, meglio sfrutti gli spazi e meno necessità hai di consumare.

 

casa sull'albero in Umbria
La casa sull’albero in Umbria

 

Che vocazione hanno di solito i vostri progetti?
Principalmente si tratta di destinazioni d’uso legate a un’utenza temporanea. Moltissimi dei progetti riguardano la micro-ospitalità turistica, con resort eco-sostenibili, case sugli alberi e soluzioni per il glamping. Il primo lavoro di questo tipo fu un insieme di casette nelle vigne a Carpeneto, nella zona di Ovada in Piemonte, grazie ad una committenza illuminata che aveva colto suggestioni nord europee. Altri lavori di grande impatto sono gli Skyview Chalet, sul lago di Dobbiaco, dai quali si può osservare la volta stellata, il Momò Bellavista nel Mendrisiotto in Svizzera o la casa sull’albero, una splendida quercia secolare, che ho da poco ultimato in Umbria ed è la mia punta di diamante. Ma la mia sfida più alta è di offrire un nuovo modo di stare in natura, per far sì che le persone scelgano queste soluzioni per viverci in maniera continuativa, con un impatto positivo anche in termini di impiego minore di risorse.

 

soluzione abitativa minimale di Paolo Scoglio
Un’altra soluzione abitativa minimale di Paolo Scoglio

 

L’apertura generalizzata allo smart working portata dall’emergenza sanitaria può influire in questo senso?
Chi ha sperimentato le nostre soluzioni per vivere e lavorare lo ha fatto prima della pandemia, alla ricerca di un maggior contatto con la natura. Possiamo dire di avere precorso con queste esperienze lo smart working. In ogni caso, il cambiamento negli stili di vita e la spinta al nomadismo digitale spero possano contribuire a farlo diventare una scelta sempre più diffusa.

Oltre che al Politecnico di Torino lei insegna anche ai ragazzi della scuola secondaria inferiore dell’Istituto Paolo e Rita Borsellino di Valenza. Proprio lì ha appena fatto realizzare «The golden house». Di che si tratta?
Come omaggio a Valenza, una delle capitali mondiali del gioiello, e alla scuola in cui insegno da diversi anni – non è raro che abbia ritrovato come allievi al Politecnico ragazzi dei quali sono già stato docente alle medie –, ho creato un ibrido tra architettura e installazione artistica che può diventare un micro-museo del lusso sostenibile. Questo spazio polifunzionale racconterà il patrimonio di creatività e innovazione che pervade la scuola e i laboratori orafi della città. Ho realizzato una struttura mista, in acciaio e legno di abete per i rivestimenti interni, che sono stati modellati plasticamente come se fossero una scultura. Questo scrigno di legno – un cubo di tre metri per tre – è un vera e propria auletta, che può ospitare l’oratore e fino a 6-7 ragazzi. Inoltre è progettata per essere nomade, potrebbe quindi diventare un ambasciatore per questa realtà.

 

Golden House a Valenza
La Golden House a Valenza

Saperenetwork è...

Marina Maffei
Marina Maffei
Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.

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