Simone Pieranni, giornalista, ha vissuto molti anni in Cina. Il suo ultimo libro è "Tecnocina: Storia della tecnologia cinese dal 1949 a oggi", Add Editore

Tecnologia canaglia, la Cina tra scienza e “red mirror”. Intervista a Simone Pieranni

“Tecnocina”, l’ultimo libro del giornalista, fondatore di China Files, già responsabile esteri per il Manifesto e autore di podcast sull’Oriente per Chora Media, ripercorre oltre 70 anni di storia cinese, sottolineando l’onnipresenza politica del Partito comunista nella spinta all’innovazione. Che va di pari passo con la tendenza al controllo. Dentro e fuori i confini nazionali…

Il gigante asiatico si è svegliato e non da ora. Un tempo docile “fabbrica del mondo” di manufatti a basso prezzo, oggi sotto la guida di Xi Jinping contende agli Usa il primato in campo economico e in prospettiva anche politico e militare. Diversamente dal mondo Occidentale, dove i progressi tecnologici sono in gran parte frutto dell’impresa privata, Pechino ha sempre avuto presa diretta sulla scienza e la ricerca al servizio della tecnologia. E non solo, come capita altrove, quando essa presenta evidenti finalità di sicurezza interna o militari. Uno dei modi per illuminare le ragioni del presente è di guardarlo in una prospettiva storica. È quello che fa Simone Pieranni in Tecnocina. Storia della tecnologia cinese dal 1949 a oggi (Add editore), un saggio ricchissimo di approfondimenti e di rimandi ad altre letture  – da cui emergono personaggi ed episodi poco o per nulla noti al pubblico non esperto di Asia – con cui l’autore ripercorre la storia cinese della scienza e della tecnologia: dalla genetica ai treni superveloci, dalle dighe all’immateriale di internet fino all’AI e alla robotica. Pieranni è un giornalista che ha vissuto a lungo in Cina, fondatore del progetto China Files, già responsabile Esteri del quotidiano il Manifesto e ora autore di podcast su Oriente e non solo per Chora Media.

Nel tuo saggio parli di una tensione della scienza e della tecnologia, vista dal Partito ora come alleata, ora come nemica. Sembra questo il cuore della storia, se la guardiamo a colpo d’occhio.
Il Partito comunista cinese (Pcc) ha sempre visto tecnologia e innovazione scientifica come motore per far sì che il Paese potesse crescere economicamente e la popolazione potesse arrivare a un benessere sempre più esteso. Eppure, soprattutto negli ultimi 20 anni, la tecnologia ha rappresentato anche un rischio. Pensiamo a internet prima e oggi all’intlligenza artificiale. Il punto è che lo sviluppo tecnologico non è mai neutro, dipende sempre da chi la gestisce.

E in Cina il dubbio su chi la gestisce non c’è…
Infatti da un lato il Pcc doveva dar corda alla scienza perché potesse evolversi il Paese. Dall’altro, ogni cosa nuova che arrivava doveva essere almeno controllata o addirittura diventare volano della propaganda.

 

 

Anche la politica del figlio unico, formalmente abbandonata solo di recente, ha a che fare con la tecnica, in particolare con la visione ingegneristica della società.
Siamo di fronte un unicum nella storia dell’umanità: l’ingegnerizzazione della demografia. Dato che tra anni ’70 e ’80 si passava da Mao Zodong a Deng Xiaoping – con apertura al mercato globale di quest’ultimo – anche gli scienziati impiegati prima in ambito militare passano in questa fase a occuparsi di progetti civili. La politica del figlio unico è il caso più emblematico, perché negli schemi matematici su cui essa si basa rientravano una serie di scienziati che hanno preconizzato negli anni ’70 e ‘80 la Cina di oggi. Ovvero un Paese ingegnerizzato in cui la tecnologia serve come motore di sviluppo economico ma anche strumento di controllo.

Un capitolo  di Tecnocina è dedicato a quella fase dei nerd al potere (il riferimento è a Jang Zemin, alla guida negli anni ‘90) un altro alla “transizione sottovalutata” di Wen Jabao e Hu Jintao (anni 2000). È in questa fase momento che si configura molto del materiale che Xi Jimping riplasma. In che modo?
Controllo sociale e lo stato di sorveglianza non sono nuovi. Basti pensare come la repressione più dura è avvenuta sotto Hu Jintao, a partire dal 2008 durante le Olimpiadi. All’epoca ero a Pechino e ricordo che ogni giorno spariva qualche attivista con cui ero in contatto e si scopriva solo mesi dopo che erano stati arrestati. Insomma, la sorveglianza in Cina nasce con Jang Zemin, si concretizza con Hu Juntao e viene utilizzata da Xi Jimping. Infatti Xi si è dedicato non tanto a reprimere attivisti nemici del regime – quello era stato già fatto – ma piuttosto alla campagna anticorruzione dentro il Partito e a colpire imprenditori privati. Al massimo si è concentrato sul movimento femminista che è l’unico movimento nuovo.

La tendenza è molto chiara…
Xi non inventa nulla, porta a maturazione e si serve di quello che è stato preparato. Tutte le leadership cinesi si muovono in una logica della continuità nella discontinuità. La centralità geopolitica, economica e tecnologica che viene realizzata solo adesso è un obiettivo presente dall’epoca di Mao, che Xi ha potuto realizzarla grazie alle condizioni storiche. Si usa spesso una formula: Mao ha liberato la Cina, Deng l’ha fatta ricca, Xi l’ha fatta potente.

 

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Un percorso storico come quello tracciato nel tuo saggio non può che avere un finale aperto: le scelte future dipenderanno da chi sarà al timone dopo Xi. Tuttavia, in una prospettiva storica, il rapporto delle classi dirigenti cinesi con la tecnologia sembra essere addirittura strutturale alla morale confuciana. E per questo consolidata. Faccio di nuovo riferimento a quelle pagine sulla politica del figlio unico e dove parli di “visione scientifica della società concepita come software”.
La tecnocrazia viene da lontano e permane nella Cina di oggi. Infatti, ne stiamo vedendo una nuova edizione con Xi Jinping. I suoi tecnocrati sono funzionari che arrivano tutti dal settore scientifico, soprattutto quello aerospaziale (quello su cui la Cina punta di più). L’attuale leader cinese ha riportato la politica ad essere dirimente nella gestione rapporti interni al Pcc e nella postura internazionale. Si pensi alle parole d’ordine come il sogno cinese, l’esigenza di raccontare bene il Paese, il tentativo di essere un modello per il sud globale. Ma a Pechino lo sviluppo è ancora guidato in un’ottica tecnocratica, in cui anche la società viene vista come un software gestito dall’hardware politico e umane che è quello del Pcc.

 

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Già con Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2000) parlavi di web e intelligenza artificiale. Ma lo avevi fatto al presente e ora ci torni in chiave storica. La tecnologia è una chiave privilegiata per capire la Cina?
La prospettiva storica nasce dall’esigenza di raccontare e capire bene le cose, perché non è che un giorno ci siamo svegliati e la Cina è diventata una superportenza. Non c’è solo l’intelligenza artificiale (IA) di cui oggi si parla molto. Consideriamo sempre che l’innovazione scientifico-tecnologica è alla base dello sviluppo militare, ovvero il grande gap che la Cina deve colmare rispetto ai rivali Usa. Pechino ha capito che sono proprio i Paesi leader nell’innovazione scientifica e tecnologica a diventare importanti sullo scacchiere internazionale, come accade alla piccola Taiwan.

Una lente privilegiata per capire la Cina?
Direi di sì, la Cina e il mondo. Spiega ad esempio perché una potenza regionale come l’Iran chiede aiuto a Pechino. Oppure il rapporto tra Pechino Israele: alla base di queste relazioni economiche e commerciali troviamo sempre la tecnologia.

 

 

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Andrea Valdambrini
Andrea Valdambrini
Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato dalla polizia sotto la Borsa di Londra con i dimostranti anti-capitalisti. Tre anni nella capitale inglese, raccontandola per Il Fatto Quotidiano, poi a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Nel 2024 rischia di fare lo stesso, stavolta per Il manifesto.

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