La piantumazione di alberi e arbusti del Bosco intensivo nel quartiere di Garbatella, al suo avvio nel 2017

Mi sento un utopista che sta cercando di vuotare l’oceano con un secchiello perché insisto sulle azioni che ognuno di noi può portare avanti per mitigare i problemi derivanti dal cambiamento climatico. Mentre sto scrivendo, c’è da mesi una disastrosa guerra in atto che, oltre ad arrecare morte e distruzione, sta molto rallentando azioni incisive per il clima, e altre sono esplose, segno di una follia che non ha fine. E se poi guardiamo a istituzioni, aziende, multinazionali troviamo un covo di negazionisti che perseguono solo il proprio interesse: “dopo di me, il diluvio”. Ma noi siamo ecologisti estremi e queste sfide non ci preoccupano. In più, siamo come i soldati di Cortez che, sbarcati in Messico nel 1519, trovarono le navi rese inservibili dal loro condottiero perché non pensassero di poter tornare indietro:

anche noi non abbiamo alternative, dato che la crisi climatica ci sta incalzando, e quindi qualsiasi azione è meglio dell’inazione.

Perciò, proviamo a esaminare alcune iniziative, piccole ma efficaci, che possono servire a mitigare le conseguenze del cambiamento climatico in città, e cioè azioni di forestazione sulla base della capacità degli alberi di assorbire CO2, inquinanti etc. Di seguito un esempio di cosa i cittadini, mettendosi insieme, possono fare e qualche indicazione sulle buone pratiche di “riforestazione urbana”. Il termine “mettendosi insieme” è cruciale, nel senso che da soli non si ha il coraggio e la forza di andare avanti incisivamente e di promuovere azioni efficaci.

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Storia di una riforestazione urbana

A partire dal 2017, come Circolo Garbatella di Legambiente abbiamo autonomamente realizzato, in un parco romano che abbiamo in affidamento, quello che abbiamo chiamato “Bosco intensivo” a significare che si tratta non di una riforestazione tradizionale, ma di un intervento che tende a riprodurre la struttura di un bosco naturale, con una elevata densità di alberi e arbusti (da qui “intensivo”). Questa, a mia conoscenza, è la prima esperienza di questo tipo a Roma e, dato che sta avendo successo, ve la “vendo” senza diritti d’autore.

Non è un concetto completamente nuovo: è stato introdotto da Akira Miyawaki, già professore alla Yokohama National University, morto nel 2021, più che novantenne, che ha girato il mondo piantando oltre 40 milioni di alberi in 15 paesi diversi.

Miyawaki consiglia piantagioni insolitamente dense di piantine molto giovani (ma con un apparato radicale già maturo: con batteri e funghi simbionti presenti). La densità (3-5 piante per metro quadro) è molto alta rispetto alle forestazioni standard, mira a stimolare sia la competizione tra specie sia l’instaurarsi di relazioni fitosociologiche vicine a quanto accadrebbe in natura, e quindi piante distribuite non in file regolari ma casualmente nello spazio come le piante sono distribuite in una radura o ai margini della foresta naturale.

Guarda il TedTalk di Shubendu Sharma

Le piante sono previste con diverse altezze: arbusti, primo strato di alberi di terza grandezza, alberi di seconda grandezza, alberi di prima grandezza, che rappresentano la chioma. Questo metodo, se applicato correttamente, produce una foresta multistrato (e un terreno con una composizione di microrganismi che si avvicina a quella di una normale foresta primaria), che cresce più rapidamente e mostra generalmente un’ottima resilienza ecologica. L’idea è spiegata nel Ted Talk realizzato da Shubendu Sharma, un ex ingegnere della Toyota che si è riconvertito alla riforestazione su scala mondiale.

Vantaggi del bosco intensivo

In sintesi, ci sono molti elementi positivi, e cioè la crescita stimolata dalla competizione per la luce, la reciproca protezione dal caldo o dal freddo, una migliore utilizzazione dell’acqua che ricevono, con una richiesta di acqua più limitata, poiché gli alberi vicini permetteranno più facilmente il mantenimento dell’umidità, e l’acqua data all’uno servirà anche per quello a pochi centimetri di distanza. Questo è un altro punto positivo, specie quando l’acqua, mai come adesso, è una risorsa limitata.

Molte persone ci dicono: «Ma così gli alberi si soffocano l’uno con l’altro». Non sembra che sia così, o solo così, e l’esperienza fatta finora lo dimostra.

D’altra parte, dalle più che trentennali ricerche di Suzanne Simard, professoressa al Dipartimento di Scienze Forestali dell’Università della British Columbia (Canada), è emerso che gli alberi presenti nelle piantagioni artificiali create dall’uomo per ragioni commerciali, con alberi coevi, sono molto più fragili di quelli che crescono nelle foreste secolari, anche se i primi hanno a disposizione ampi spazi e sono distribuiti in modo uniforme, così da poter ricevere luce e acqua in abbondanza e prosperare bene, mentre i secondi sono costretti a competere fra di loro per sopravvivere. La ragione risiede sottoterra, nella complessa rete di batteri, funghi e microrganismi che collegano le radici degli alberi, e che permette lo scambio di nutrienti fondamentali, quali carbonio, azoto, zuccheri e acqua, anche a grandi distanze. Questa stessa rete è anche capace di favorire lo scambio di informazioni (per esempio, può comunicare la minaccia di attacchi parassitari) e contribuisce a quella che viene chiamata “l’intelligenza delle piante”. Peraltro, le piante comunicano anche per via aerea, attraverso le foglie, e ciò conferma che hanno “un linguaggio”. Per questa “intelligenza distribuita” (vedete anche i libri di Stefano Mancuso, che dirige il Laboratorio di Neurobiologia Vegetale dell’Università degli Studi di Firenze) si è parlato di Wood Wide Web, sulla falsariga del World Wide Web delle telecomunicazioni.

Guarda il video di Stefano Mancuso 

Solidarietà verde

Gli scambi sono governati da regole ben precise: vanno dagli esemplari più vecchi e più grandi, chiamati alberi madre, a quelli più giovani e più piccoli, e i segnali di pericolo sono immediatamente trasmessi agli alberi vicini. Quindi, non vi è solo competizione tra le piante, che è quella di cui si parla più comunemente, ma anche una sorta di solidarietà verde, per cui gli alberi isolati hanno molte più probabilità di ammalarsi e di morire rispetto a quelli connesse a questa “rete forestale” di sostegno. E anche per questo un ecosistema ricco e integro è più forte di uno impoverito. Insomma, è stato dimostrato che all’interno di un ecosistema boschivo ci sono conflitti, ma anche tanta reciprocità e collaborazione, e che la competizione e l’adattamento non sono necessariamente caratteri contrapposti. Anzi, l’assenza di competizione, talvolta, è la ragione del successo di vaste comunità. Dovremmo veramente imparare dagli alberi come vivere in pace sulla terra!

Allora, come realizzare un Bosco intensivo o, come si tende anche a chiamarli ora, “miniforeste”?

L’esperienza che riporto non è facilissima da riprodurre, perché conta sulla presenza di un’associazione che ha raccolto intorno a sé i cittadini e che, con i contributi dei cittadini, ha sviluppato il Bosco intensivo su un’area pubblica. Noi siamo partiti dal Parco Garbatella, un’area di 4 ettari che, come Circolo Garbatella di Legambiente, abbiamo in affidamento (senza oneri per l’Amministrazione, ovvio!!!) dal Comune di Roma.

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Una mini foresta in sette mosse

Avevamo necessità di schermare l’area dall’inquinamento derivante dalla Via Cristoforo Colombo, un’autostrada urbana che corre lungo un lato del Parco, e quindi abbiamo cominciato col piantare una siepe perimetrale. Poi, non contenti, siamo partiti con l’idea del Bosco Intensivo seguendo, e quindi di due – tre anni i vari passi, mutuati dall’esperienza di Miyawaki:

scelta dell’area, di dimensioni non inferiore ai 100 m2 (noi abbiamo scelto un’area di circa 180 m2)

scavo in profondità (60 – 70 cm) dell’area per creare uno spazio di più facile espansione per le radici

miscelamento del terreno con paglia, compost etc. per realizzare un substrato più fertile

scelta delle piante (arbusti e alberi di varia forza, con altezza media di 80 cm e quindi di due – tre anni), tutte piante da clima mediterraneo tra cui frassino maggiore, orniello, acero campestre, bagolaro, ontano nero, carpino bianco, ciliegio, tiglio e olmo, roverella, ginestra, ligustro, sanguinella, viburno, alloro. Fra l’altro queste piante hanno anche buone capacità di assorbire le particelle inquinanti dovute al traffico della Via Colombo, per migliorare il “microclima” del Parco

messa a dimora delle piante con densità circa 2 piante a m2, inframmezzandole l’une alle altre

realizzazione della rete di irrigazione con ala gocciolante collegata alla cisterna allocata nel parco, ed applicazione di una pacciamatura con paglia, per mantenere l’umidità e ridurre la crescita delle erbacce

cura continua, per almeno i tre anni successivi.

Nelle foto in apertura articolo il bosco al suo primo impianto (novembre 2017, una festa con tanti bambini!) e nell’immagine qui sotto il bosco adesso. È molto fitto, e le piante hanno mostrato di saper coesistere, più che lottare tra loro e che l’accrescimento è stato più rapido rispetto ad un impianto tradizionale. Alcune criticità sono state i costi, a parte il tantissimo lavoro volontario, la spesa per il bosco intensivo è stata di circa 6.000 euro in 5 anni, includendo l’impianto d’irrigazione, lo scavo del terreno, di riporto e pieno di sassi, nella zona scelta per cui abbiamo utilizzato una ruspa (ma non è detto che sia sempre necessario) e abbiamo dovuto mettere della sostanza organica, la fornitura degli alberi, in parte provenienti dal nostro piccolo vivaio forestale, in parte regalati dai vivai regionali o comunali (paradossalmente, un limite alle riforestazioni in Italia è la disponibilità di piante forestali provenienti dai vivai), la disponibilità di una fonte di approvvigionamento di acqua (noi abbiamo una cisterna che recupera l’acqua dalla fontanella nel parco) e tanta cura necessaria alla sopravvivenza delle piante almeno per i primi tre anni.

Il bosco intensivo nel quartiere romano di Garbatella, oggi

Insomma, non è detto che sempre e dovunque sia possibile realizzare boschi intensivi su questa traccia. Si potrebbero realizzare anche nelle scuole, e quindi sfruttare il senso di comunità che viene dal prendersi cura del bosco (c’è in tal caso una grossa limitazione: chi innaffia durante l’estate?). Il mio è comunque un invito a “buttare il cuore oltre l’ostacolo” e cercare di coagulare forze: associazioni, cittadini, amministrazioni pubbliche, sponsor, che permettano una simile impresa.

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Tommaso D'Alessio
Tommaso D'Alessio
Ambientalista da sempre, che ha letto, all’epoca, il libro I limiti dello sviluppo, e quindi sta aspettando la catastrofe da 50 anni. Ma nonostante tutto, visto che serve Pensare globalmente Agire localmente, affligge chi gli sta vicino con l’intento di ridurre i consumi, di tutto: cibo, acqua, energia etc. e non cessa di operare per il miglioramento dell’ambiente, soprattutto urbano, nel contesto di Legambiente. È Presidente del Circolo Garbatella di Legambiente che dal 2012 ha in affidamento il Parco Garbatella in Roma, un’area di 40.000 m2, che il Circolo gestisce senza nessun contributo da parte del Comune. Da queste pluriennali esperienze ha avviato la sua strada di ambientalista estremo.

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