Cinque esponenti della Land Art che dovete conoscere
Opere realizzate in spazi aperti che utilizzano la materia prima dei territori o ne valorizzano la vocazione. Istallazioni imponenti che evocano immaginari simbolici o futuristici, oppure creazioni impermanenti a ricordare i cicli della vita e la sua caducità. Breve viaggio nella Land Art
La Land Art è una corrente artistica nata dal desiderio di riscoprire gli ambienti incontaminati e le loro peculiarità, attraverso un’indagine antropologica e scientifica sulle loro modificazioni, sull’impatto ambientale e sociale delle economie. Oggi vi raccontiamo cinque artisti della Land Art che, attraverso le loro opere, hanno sperimentato metodi innovativi per narrare la relazione tra comunità e territori.
Robert Smithson
Nato nel 1938 e deceduto in un incidente aereo nel 1973, Robert Smithson è considerato tra i più importanti esponenti del genere, anche per l’influenza esercitata sulle successive generazioni di artisti. Smithson ha ampliato i luoghi e i modi dell’arte, elaborando il concetto che l’opera artistica appartenga al mondo e che non si limiti, perciò, a raccontarlo.
Entrato nei programmi della Art Students League quando aveva appena sedici anni, presenta la sua prima mostra a New York nel 1957 e quattro anni dopo approda in Europa. Le prime opere sono ricche di riferimenti alla spiritualità primordiale e al rientro negli States il suo interesse artistico si declina sempre più come ricerca sul paesaggio, che si esprime anche attraverso viaggi ed esperienze vissuti in compagnia di altri artisti che diverranno a loro volta figure di spicco della Land Art, tra i quali Nancy Holt (che sposerà nel 1963).
Il territorio, la sua geologia e le sue “contaminazioni” diverranno protagonisti, svelando le tante sfaccettature del rapporto tra ambiente e industria. Il contrasto tra caos e ordine, che si riflette nella naturale armonia dell’universo, rappresenta il fulcro di ogni sua sperimentazione. Spiral Jetty (installazione del 1970) nello Utah è la sua opera più famosa: un inno all’entropia, un vortice di rocce basaltiche, argilla e cristalli di sale sistemati sulla costa del Great Salt Lake, esattamente nel punto in cui era più facile si esprimesse la sopravvivenza difficile e precaria dell’opera stessa. Un’installazione fragile eppure potente, grazie alle dimensioni imponenti (generate da quasi settemila tonnellate di materiale). Una spirale soggetta al cambiamento, che riflette le decisioni dell’uomo nella gestione del territorio ma anche la legge della natura. Un tentativo di valorizzare una terra sventrata dalla sete di petrolio, disegnando su di essa il simbolo di un ambiente che resiste e si rinnova.
Nancy Holt
Pioniera della Land Art, Nancy Holt impresse una svolta fondamentale nella storia dell’arte ambientale, dando vita a opere che abbracciano gli spazi e valorizzano i luoghi, permettendo allo spettatore di interrogarsi sulle proprie percezioni, sulle radici e le connessioni ancestrali con la natura.
Legata ai territori del Massachusetts, del Maine e del New Mexico, con un particolare amore per il deserto, Holt si interessa sin dai primi anni ‘60 di geografia del paesaggio e astronomica, ricercando il racconto della relazione tra la concretezza della terra e l’ineffabilità del cielo. L’arte diviene, attraverso studi specifici sulla luce, un mezzo per recuperare emozioni perdute, riscoprire la propria interiorità, riportare a galla il bisogno primordiale di connettersi con la natura. Necessità semplici, come quella di osservare un cielo stellato, che si trasformano in esercizi di consapevolezza sullo spazio e la corporeità.
Negli anni, l’artista si dedica a diversi lavori sugli elementi, mescolando richiami al fuoco, all’acqua, all’aria e alla terra. È affascinata dall’elettricità che è al tempo stesso espressione della potenza della natura e pietra di volta della rivoluzione industriale. Le geometrie ispirate al cielo, spesso risorte da materiali di recupero, si fondono con gli elementi della terra, si allineano con i solstizi producendo sorprese artistiche, permettono di osservare le costellazioni o di riflettere sul senso del tempo, sui concetti di staticità e movimento.
Michael Heizer
Michael Heizer nasce in California, nel 1944. Famoso per la creazione di opere ispirate dai suoi studi sull’archeologia, con terrapieni, piramidi, rocce granitiche sospese e canyon artificiali che mozzano il fiato (come in Double Negative, nella quale si fronteggiano due costoni alti 15 metri), Heizer desidera rendere omaggio alle antiche civiltà e al tempo stesso promuovere la salvaguardia ambientale, suscitando riflessioni e veicolando moniti contro l’azione indiscriminata dell’uomo sui territori.
Si lega, sin dalla fine degli anni ’60, a Robert Smithson, affiancandolo nei suoi primi lavori. Ma si allontanerà presto dai salotti artistici, restando lontano dalle scene per decenni; anni che trascorrerà in un ranch da lui costruito, autosufficiente e sostenibile, dedicandosi alla ricerca di fondi per continuare la realizzazione della sua opera più importante. “City”, iniziata nel 1970, prende vita nell’arco di cinquant’anni, e vede la luce nel 2022. Un’immensa installazione nel deserto del Nevada, una città fantasma che evoca scenari apocalittici, richiamando vicende atlantidee e al tempo stesso capace di fondersi in modo sublime con il paesaggio, nel rispetto della sua biodiversità, in un territorio che ospita ginepri secolari, pioppi e cespugli di alfalfa. Un luogo da esplorare a piedi, in cui riflettere e perdersi, dove spesso la luce genera miraggi e giochi che illudono lo spettatore di poter calcolare le distanze, salvo poi restare impigliato nella fatica del percorso.
Agnes Denes
Agnes Denes è un’artista ungherese cresciuta in Svezia. La sua carriera inizia negli anni ’60 e si connota sin da subito per la forte impronta ecologica e sociopolitica. A differenza dei primi esponenti della Land Art americana, interessati alla valorizzazione delle caratteristiche geologiche del territorio, l’opera di Denes valorizza i prodotti vivi della terra, poiché essa è intesa come materia fertile.
Nelle sue creazioni non è l’artista a dover scavare per lasciar emergere, bensì è la terra stessa a invadere, con le sue manifestazioni di vita, lo spazio artistico. La scienza e la filosofia ecologica si fondono, per narrare soluzioni nuove e al tempo stesso antiche, basate sul recupero, l’empatia e la salvaguardia. Le preoccupazioni sullo stato di salute del pianeta divengono il nucleo del racconto, che si assume la responsabilità di parlare dei problemi ambientali senza rinunciare a meravigliare. E così, nel 1982, Denes trasforma una discarica in disuso di fronte al World Trade Center in un campo di grano, in un’opera dal nome evocativo: Wheatfield – A Confrontation. Le spighe che ondeggiano al vento, con le Torri Gemelle a fare da sfondo, ricordano allo spettatore che il cereale, materia base dell’alimentazione umana, è un tesoro fragile e troppo spesso mal distribuito.
Il campo di grano sarà rapidamente sostituito dal cemento ma l’esperienza guiderà l’artista verso altri progetti di riforestazione delle aree urbane: tra questi A Forest for Australia, del 1998, installazione a spirale che ricorda una piramide a gradoni formata da oltre 6000 alberi in via d’estinzione e A Forest for New York, del 2014, un piano per la trasformazione di una discarica in una foresta urbana, galleria d’arte e luogo di ritrovo per la comunità locale.
Richard Schilling
Artista britannico legato ai territori del nord ovest dell’Inghilterra, al confine con la Scozia, Richard Schilling considera l’arte come un’opportunità per connettersi in maniera profonda e autentica con la natura, valorizzandone l’unicità delle forme e delle sfumature. La sua è arte effimera e “pura”, creata utilizzando materiali naturali e degradabili come legno, corteccia e muschio, in linea con il paesaggio e i suoi elementi (cascate, pietre, colline) e la sua biodiversità.
Opere che celebrano l’impermanenza e il cambiamento, i cicli di distruzione e rinascita e i temi dell’esistenza e del passaggio, attraverso elementi sospesi, fluttuanti o cinti dal mare, forme geometriche semplici, spirali e mandala, giochi di luce creati con fiori e foglie, spesso accompagnati da messaggi ambientalisti realizzati su supporti naturali (la sabbia di una spiaggia, il fieno dei campi) o riciclando la plastica raccolta dalle spiagge. La produzione artistica di Schilling si vota all’attivismo ambientalista, producendo campagne contro l’inquinamento che si rivolgono direttamente ai cittadini, ispirando comportamenti virtuosi. È il caso dell’installazione realizzata nel 2021 nel Lancashire, sulla Fylde, pianura costiera che affaccia sul mare d’Irlanda: allo scopo di sensibilizzare i visitatori sull’importanza di non abbandonare rifiuti in spiaggia, l’artista disegna sulla sabbia della spiaggia di St Annes una serie di enormi impronte di piedi umani (ciascuna lunga 8 metri) e un delfino (lungo 35 metri) accompagnato dalla scritta “Take it, don’t leave it!”.
Schilling è anche promotore dell’eco-arte terapia come strumento per la riscoperta di una relazione positiva con il pianeta e i suoi abitanti.
Saperenetwork è...
- Anna Stella Dolcetti, laureata in lingue e culture orientali presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un master in International Management alla Luiss Business School, si è specializzata in Marketing all’Istituto Europeo di Design e in Green Marketing all’Imperial College di Londra. È vincitrice e finalista di competizioni dedicate alle nuove tecnologie (Big Data e Blockchain) e lavora nella comunicazione per aziende ad alto tasso di innovazione. È diplomata in "sommellerie" e appassionata di alimentazione naturale. Nel tempo libero passeggia nei boschi, scala montagne e legge avidamente di biologia, astronomia, fisica e filosofia. Crede fermamente nella sinergia tra metodo scientifico e cultura umanistica e nell’utilizzo delle nuove tecnologie al servizio di etica, rispetto e sostenibilità sociale e ambientale.
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