"Lo sguardo di Adriano" di Francesco Vezzoli

"Lo sguardo di Adriano" opera di Francesco Vezzoli (Foto: Sebastiano Pellion Di Persano)

Riuscirà Vita Dulcis, la mostra proposta dal Palazzo delle Esposizioni a Roma (fino al 27 agosto 2023), a riaccendere interesse nei confronti dell’antichità al di fuori del mondo di studiosi e appassionati di archeologia? C’è da scommettere di sì, vista l’intuizione felice del direttore dell’Azienda Speciale Palaexpo, Marco Delogu, e del suo staff di collaborare con il Museo Nazionale Romano sotto l’egida di un nume tutelare dell’arte contemporanea come Francesco Vezzoli, che ha spiegato alla stampa

«È nel mio dovere di artista inventare una nuova strategia e una nuova narrativa per poter raccontare questo patrimonio meraviglioso che è vivo e che è presente».

Francesco Vezzoli
L’artista bresciano Francesco Vezzoli

 

I reperti esposti, messi a dialogo con le opere dell’artista bresciano che da qualche anno è impegnato a gettare un ponte tra la storia dell’arte e l’immaginario contemporaneo, arrivano direttamente dai depositi del Museo Nazionale Romano, guidato dal 2020 da Stéphane Verger: busti, torsi, teste e ritratti di imperatori mescolati a creazioni di Vezzoli in un affascinante percorso espositivo allestito da Filippo Bisagni e illuminato da Luca Bigazzi, celeberrimo autore della fotografia a lungo collaboratore di Paolo Sorrentino, con cui ha vinto tre David di Donatello, sui suoi sette vinti. Se Bisagni ha dato vita a una vera e propria messa in scena, declinata in sette sale tematiche intorno alla Sala Rotonda, ognuna dedicata a un aspetto della storia dell’Impero Romano, Bigazzi ha abdicato all’uso di luci direzionali per far piovere su ogni opera un’illuminazione diffusa, capace di dar ragione non solo degli oggetti in mostra ma anche delle immagini in movimento che sovrastano il fondale di ogni sala, permettendo al visitatore di immergersi nei diversi labirinti creati per celebrare la paura e il desiderio nella Roma dell’antica dolce vita.

Le sale

Si è accolti, nella monumentale Rotonda, da sei sculture luminose (Lightbox Sculptures), tutte alte 350 centimetri, progettate da Vezzoli nel 2012 (in collaborazione con lo studio AMO di Rem Koolhaas ) per 24Hours Museum ed esposte per un solo giorno al Palais d’Iéna a Parigi: un museo effimero presentato dalla Fondazione Prada in cui l’artista aveva collocato le grandiose sculture di stampo classico allusive di dive contemporanee. Il viaggio allestito nella Capitale parte da queste sei figure femminili classiche, Afrodite Sosandra, la Menade danzante, Venere de’ Medici, Vibia Sabina, Venere Callipigia e Afrodite Cnidia, con i volti di Sharon Stone, Michelle Williams, Anita Ekberg, Valentina Cortese, Jeanne Moreau, la Principessa Caroline di Hannover e gli occhi della madre dello stesso Vezzoli.

 

Francesco Vezzoli, “Portrait of a Diva as dancing Venus
with the Eyes of My Mother” (Foto: Agostino Osio)

Da qui ci si addentra nelle sette sale laterali, dove costante è la domanda che ci si pone: cosa è antico e cosa è di Vezzoli, in questo gioco di contrasti, divertente ed emozionante, provocatorio ma mai irriverente?

Para Bellum, recita il titolo della prima sala. “Se vuoi la pace, preparati alla guerra” (Si vis pacem, para bellum), avvertiva nel V secolo Publio Flavio Vegezio Renato: ecco allora, da Palazzo Massimo, un ritratto di Alessandro Magno, dai depositi delle Terme di Diocleziano una Testa di Marte, il dio romano della guerra, e un imponente Torso dell’Imperatore Diocleziano vestito da Ercole Combattente. Sul grande schermo, passano le immagini de La calata dei barbari, diretto da Robert Siodmak, del 1968, con Orson Welles nel ruolo dell’imperatore bizantino Giustiniano, e de Il gladiatore, di Ridley Scott, del 2000. Al centro, Filippo Bisagni ha collocato il busto Achille! realizzato da Vezzoli nel 2021: scultura in marmo truccata in chiave pop contemporanea che dialoga con il complesso scultoreo dedicato ad Achille e Pentesilea.

 

Achille! di Francesco Vezzoli (Foto: Alessandra Chemollo, Fondazione Brescia Musei)

 

Se il corpo maschile e la potenza virile sono il tema della prima sala, nella seconda si cede il passo alla passione omosessuale nel segno di Antinoo, amato e poi divinizzato dall’Imperatore Adriano e del celebre verso: Animula Vagula Blandula, piccola anima errante e languida, come ebbe quest’ultimo a definire la sua anima in punto di morte (pronunciata, non a caso, dal protagonista de Il conformista di Bernardo Bertolucci). È il famoso busto del II secolo d.C raffigurante il giovane greco (della Collezione Boncompagni Ludovisi e proveniente da Palazzo Altemps) ad aprire il gioco di echi e di rimandi di questa sezione, alle cui spalle sfilano le sei repliche di Vezzoli, truccate alla David Bowie per la copertina di Aladdin Sane: Antinoo è una rock star che con la sua moltiplicazione ossessiona Adriano, rappresentato dall’artista in marmo bianco e occhi colorati. In fondo, una delle opere simbolo di Vezzoli, Self-Portrait as Emperor Hadrian Loving Antinous: un ritratto del giovane Antinoo in marmo di Carrara risalente al XIX secolo (realizzato dallo scultore O. Nistri), e un autoritratto di Francesco Vezzoli come Adriano in marmo statuario (proveniente dalla Fondazione MUSEION. Museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano). I due film: Sebastiane, del 1976, di Derek Jarman e Spartacus, di Stanley Kubrick.

 

Francesco Vezzoli “Self-Portrait as Emperor Hadrian Loving Antinous” (Foto: Sebastiano Pellion Di Persano)

 

Celebra la donna la terza sala intitolata Dux Femina Facti, da un verso tratto dall’Eneide: Virgilio esalta il coraggio di Didone chiamandola “donna guida dell’impresa” e Vezzoli sceglie una testa di Medusa, di Venere, di Diana, insieme a ex voto in terracotta dal IV al II secolo a.C., raffiguranti degli uteri, con cui mette a dialogo il suo Portait of Kim Kardashian, una testa in marmo del III secolo d.C. su un procace corpo in bronzo che ricorda la Venere steatopigia (costituzione fisica che accumula adipe sulle natiche e sulle cosce) di Willendorf. Cleopatra di Mankiewicz, col volto di Elizabeth Taylor, e di Cecil B. DeMille, con Claudette Colbert, chiude la galleria di figure femminili.

 

Francesco Vezzoli, “Portrait of Kim Kardashian” (Foto: Pascal Martinez, Collection Lambert, Avignon)

 

Il culto dei defunti è il tema della quarta sala, Certa Omnibus, certa per tutti: 50 lapidi funerarie in marmo dalle Terme di Diocleziano e una testa di fanciulla dormiente di età neroniana, sovrastate dai fotogrammi di Cabiria, del 1914, di Giovanni Pastrone con didascalie di Gabriele D’Annunzio. Quinta sezione, invece, nel segno del Satyricon di Petronio, rivisitato sia da Federico Fellini che da Gian Luigi Polidoro nel 1969: Ridente Dicere Verum. Avvertiva Orazio nelle sue Satire: “Cosa proibisce di dire la verità scherzando?” Ecco quindi che la celebre cena di Trimalcione fa da sfondo a una mise en place di teste e busti di personaggi storici in un banchetto dionisiaco dove i reperti antichi si mescolano alle opere di Vezzoli e il “piatto” principale è niente meno che la versione dell’Ermafrodito dormiente conservata a Palazzo Massimo.

 

 

Si celebra il potere imperiale nella sezione Ubi Potentia Regnat, dove regna la potenza: Vezzoli pone ora la testa di Domiziano ora quella di Marco Aurelio sul frammento di un corpo femminile, mentre da Palazzo Massimo arrivano i ritratti di Adriano, di Settimio Severo, di Costanzo II. È di Steno il peplum Mio figlio Nerone, del 1956, con Alberto Sordi nei panni di Nerone, Vittorio De Sica in quelli di Seneca, Gloria Swanson è Agrippina e Brigitte Bardot è Poppea; gira in loop con scene di Nel segno di Roma, di Guido Brignone e Michelangelo Antonioni. Infine, chiude l’esposizione la sala dedicata alla caduta dell’Impero: Mixtura Dementiae, parte della massima di Seneca “Nullum magnum ingenium mixtura demientiae fuit”, Non c’è mai grande ingegno senza una vena di pazzia: 26 tra frammenti e reperti (molti dalla Crypta Balbi) sono a dialogo con 10 creazioni di Francesco Vezzoli, fra le quali Ai tuoi piedi (Pedicure) (2020), un piede votivo in argilla del III secolo a.C. ritoccato con dello smalto per unghie, Love and Sex in Ancient Rome (2019), frammento di scultura in tufo di un pene, Lacrime di coccodrillo (2023), un enorme rettile in bronzo che divora una testa in marmo di Palmira del III d.C.

 

Ermafrodito dormiente, metà del II secolo d.C. (Foto: Simona Sansonetti)

 

Fa da contrappunto Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula, promo di un film inesistente che prende le mosse da Caligola, del 1979, sceneggiato da Gore Vidal, diretto e riscritto da Tinto Brass e prodotto da Bob Guccione (fondatore di Penthouse). All’interno di una villa decadente di Beverly Hills, attrici e attori del film originale si uniscono a un cast internazionale selezionato ad hoc da Vezzoli. Ciascuno interpreta un personaggio storico, esponendo le stratificazioni e manipolazioni del potere e, al contempo, costruendo una parodia del cinema hollywoodiano e del suo interesse per Roma. Un interesse che, invece, la mostra spera di risollevare nella sua accezione migliore, anche in vista di una rinascita della città a lungo attesa. Come ha auspicato Stéphane Verger:

«In mostra ci sono i grandi capolavori ma lo sguardo di Vezzoli sposta l’attenzione anche sui piccoli pezzi. Spero che i visitatori dopo esser stati qui torneranno al Museo Nazionale Romano e getteranno uno sguardo personale sui reperti conservati».

Ce lo auguriamo tutti, ça va sans dire, soprattutto avendo più volte avuto la possibilità e la fortuna di visitare Palazzo Massimo, Palazzo Altemps, Crypta Balbi e le Terme di Diocleziano. Certo è che Vita Dulcis – Paura e desiderio nell’Impero Romano è destinata ad affascinare non poco i visitatori che vorranno prestarsi all’operazione, serissima e ludica insieme, messa in scena al Palazzo delle Esposizioni.

 

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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