Due bambini afghani in primo piano largo

L'Afghanistan è stato colpito da un terremoto di magnitudo 5.9 la notte del 21 giugno. Ad oggi si contano almeno 1500 morti

Talebani, diritti umani, cancellazione delle donne, terremoto. Ci siamo dimenticati dell’Afghanistan?

A pochi giorni dal sisma che ha devastato il Sud est del Paese, i soccorsi stentano ancora ad arrivare e il numero dei morti resta incerto. Un dramma che colpisce un popolo stremato, sotto il dominio dei talebani. Nel frattempo, che ne è dei profughi fuggiti lo scorso agosto, dopo la resa di Kabul?

La scossa di magnitudo 5.9 è arrivata nel cuore della notte del 21 giugno, intorno alle 3, ora locale, le 23 italiane, nel Sud Est del Paese, ai confini con il Pakistan. Epicentro a 50 chilometri da Khost, nel distretto di Paktika. Il terremoto più forte degli ultimi travagliati vent’anni è stato sentito in tutto l’Afghanistan, ha raggiunto Islamabad e l’India. A pochi giorni dal terribile evento il bilancio delle vittime è ancora incerto, di sicuro si sa solo che i morti sono almeno 1500. 

Se un evento di tale portata, e ne sappiamo qualcosa in Italia, è devastante ovunque, a tutte le latitudini, in un paese al collasso sociale ed economico, ancora in piena pandemia da Covid-19 e dallo scorso agosto nuovamente sotto il dominio dei talebani dopo vent’anni di governi sostenuti dalla missione militare internazionale guidata dagli Stati Uniti, corrisponde senza dubbio a una catastrofe umanitaria. 

 

Donne con il burqa in un mercato afghano
Il sisma ha colpito l’Afghanista già al collasso per la situazione politica e socio economica. nella foto, alcune donne coperte dal burqa (Foto: David Mark, Pixabay)

 

Interi villaggi, per lo più in zone remote e non facilmente raggiungibili a causa della struttura geo morfologica del Paese e delle poche infrastrutture, sono stati colpiti, le case distrutte, le persone hanno scavato per giorni con le proprie mani tra le macerie. Il portavoce del ministero della salute afghano, Sharafat Zaman, ha dichiarato, come riporta la Cnn, che sono centinaia le persone bisognose soprattutto di acqua e cibo; «Chiediamo alla comunità internazionale, alle organizzazioni umanitarie di aiutarci per cibo e medicine, i sopravvissuti potrebbero contrarre malattie perché non hanno case e rifugi adeguati dove vivere».

E l’ufficio umanitario delle Nazioni Unite (Ocha) avverte che sono in atto probabili epidemie di colera di particolare e grave preoccupazione.

L’Afghanistan non è un paese attrezzato, mancano vigili del fuoco, mezzi di soccorso e di localizzazione, come testimonia la corrispondenza della Bbc. Quando disgrazie del genere succedono, soprattutto in un paese povero, la comunità internazionale offre immediatamente personale esperto, militari e protezione civile in grado di aiutare la popolazione locale.

 

 

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Ma l’Afghanistan lasciato in fretta e furia al proprio destino dagli americani e dai loro alleati la scorsa estate ha un governo, con nessuna donna e alcuni terroristi al comando, non riconosciuto a livello internazionale.

Sopraffatti dalla difficoltà di fronteggiare un evento del genere e dalle sue conseguenze, e spaventati dalla prospettiva che possa trattarsi di una prova della propria capacità governativa destinata miseramente a fallire, i talebani hanno chiesto da subito aiuto alla comunità internazionale . Lo scorso sabato, il vice rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan Ramiz Alakbarov si è recato nella provincia di Paktika, insieme ad elicotteri e camion Onu carichi di pane, farina, riso e coperte per le zone colpite. Ma i soccorsi continuano ad essere difficili e soprattutto irregolari, con molti villaggi ancora non identificati e raggiunti.

Tra le varie Ong rimaste sul territorio e fino a questo momento osteggiate dai talebani, che adesso a quanto pare chiedono anche il loro aiuto, Emergency, il cui team logistico è all’opera nelle zone più colpite. «L’Oms – si legge sul sito dell’organizzazione fondata da Gino Strada –  ha confermato che più di 700 famiglie stanno vivendo all’aperto nei distretti più colpiti, 400 solo nel distretto di Barmal. L’acqua potabile scarseggia e i servizi igienici sono carenti, cosa che può portare all’insorgenza di malattie come colera, dissenteria e tifo».

 

 

Nel frattempo la Cina ha promesso di stanziare 50 milioni di Yuan, quasi 7 milioni e mezzo di dollari in aiuti umanitari d’emergenza. Iran, Pakistan, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti e Qatar hanno contribuito all’invio di aiuti di primo soccorso, come tende, asciugamani, letti e altri rifornimenti. Il terremoto arriva in un momento in cui la comunità internazionale è concentrata sulla questione ucraina e le sue conseguenze sulla vita dei paesi ricchi, come aumento del costo dei fossili, crisi alimentare e incremento dei flussi migratori verso Europa e Occidente.

Colpisce un paese che è stato al centro della nostra attenzione mediatica e emotiva per poco più di un mese, sul finire della scorsa estate. Dopodiché, a quanto pare ce ne siamo dimenticati in fretta. Rimpiazzando ipocritamente le nostre preoccupazioni effimere per la popolazione locale, soprattutto quella femminile, con il dramma della più “vicina” guerra in Ucraina.

 

 

Se, ad esempio, pensiamo alla diaspora afghana e ai suoi profughi, la cui sorte la scorsa estate sembrava interessarci, oggi, a poco meno di un anno dalla presa di Kabul, i corridoi umanitari sono ancora fermi a causa della burocrazia, e sono ancora troppe le persone accampate in Turchia, Bosnia ed Erzegovina, in attesa ai confini della fortezza Europa. Con il rischio che i visti, spesso turistici, con i quali hanno passato la frontiera scadano, provocando il rimpatrio in Afghanistan. Occorre ricordare il ruolo della Turchia nella vicenda afghana, e la dichiarazione Ue-Turchia firmata il 18 marzo del 2016, con cui si definisce il rimpatrio di tutte le persone, anche i richiedenti asilo, che giungono irregolarmente sulle isole egee in Turchia.

Con l’accordo la Turchia si è impegnata a evitare che le persone lascino il suo territorio per raggiungere l’Europa, in cambio di miliardi di euro da Bruxelles, di cui una parte a sostegno dei rifugiati che vivono nel paese.

 

 Guarda il video della conferenza Onu sui diritti umani in Afghanistan

 

Sulla gestione esterna delle frontiere europee poi ci sarebbe molto ancora da dire, basti pensare che la polizia croata  in questi anni si è resa protagonista di costanti violazioni dei diritti umani e di respingimenti illegali in Bosnia. Sulla discriminazione dei profughi in profughi di serie A e serie B, poche settimane fa, in occasione della Giornata Mondiale dei Rifugiati, il Cisda, Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane ha lanciato un appello per chiedere al governo italiano lo sblocco dei corridoi umanitari (per i quali lo stesso Governo italiano ha preso impegni precisi) e l’avvio di sistemi efficaci e continuativi di messa in protezione delle persone a rischio e un loro trasferimento veloce in Italia.

 

Michelle Bachelet, Alto Commissario Onu per i diritti umani
Michelle Bachelet, Alto Commissario Onu per i diritti umani

Pochi giorni prima del terremoto, l’Alto Commissario per le Nazioni Unite Michelle Bachelet ha dichiarato che il popolo afghano sta vivendo alcuni dei “momenti più bui” di una generazione:

«Dopo anni di conflitto e dopo la presa di potere da parte dei Talebani nell’agosto dello scorso anno, il Paese è sprofondato in una profonda crisi economica, sociale, umanitaria e dei diritti umani».

Una crisi resa ancora più buia dal terremoto, con la comunità internazionale che fatica a prendere decisioni concrete, e  l’opinione pubblica che sembra preferire l’oblio.

 

 

 

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Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.

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