Cittadini/e e attivisti/e manifestano per Lucha Y Siesta davanti alla sede della Regione Lazio a Roma

Cittadini/e e attivisti/e manifestano per Lucha Y Siesta davanti alla sede della Regione Lazio a Roma

Lucha Y Siesta, una risposta concreta alla violenza di genere

Nato dal recupero di un locale Atac di Roma, lo spazio è dal 2008 centro anti violenza e polo culturale. Rischia di essere sgomberato da una delibera regionale, ma attiviste e attivisti, cittadine e cittadini ne rivendicano l’importanza. Sottolineata dall’Assemblea Nazionale di Non Una di Meno, a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin

Sono 106 le donne uccise dal 1 gennaio al 19 novembre 2023, 87 in ambito familiare / affettivo. Di queste, 55 sono state vittime della mano di partner o ex partner. Nudi e crudi, sono questi i dati dell’ultimo report settimanale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno che illustra i numeri degli omicidi volontari. Stiamo parlando di femminicidio, parola che, citando Michela Murgia: «Non indica il sesso della vittima, ma le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne». Sono questi i numeri che fanno malissimo e che dopo la morte di Giulia Cecchetin sono tornati a “fare rumore”, tuonando da Nord a Sud nelle scuole e nelle piazze (solo a Roma durante la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne hanno manifestato circa 500.000 persone). Ma il femminicidio è solo l’atto finale di una violenza ben più radicata nella nostra società. Motivo, questo, della necessità di realtà virtuose di contrasto e prevenzione come quella della Casa delle Donne Lucha y Siesta nel quartiere Tuscolano di Roma. Per raccontarla, però, è opportuno soffermarsi su alcune premesse.

 

Il ruolo dei centri anti violenza

Il rumore che ha attraversato le piazze italiane il 25 novembre, quando la marea fucsia ha risposto all’appello dell’Organizzazione Non Una Di Meno contro la cultura dello stupro ancora fortemente tangibile, non può non porre l’accento sul ruolo dei Centri antiviolenza e sull’importanza dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole nella prevenzione e nel contrasto della violenza di genere.

A partire da questo, quali sono i presupposti affinché il lavoro dei Cav sia effettivamente concreto nell’aiuto e nella prevenzione della violenza?

Una risposta viene senz’altro dai numeri illustrati durante l’interrogazione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere del 14/07/2020: «Solo la metà dei Centri gestiti da organizzazioni private no profit risulta specializzata esclusivamente in violenza contro le donne (55,1%). Tra questi, vi sono in particolare i Centri storici, gestiti da associazioni legate al movimento delle donne per le quali l’approccio femminista e di genere nella risposta alla violenza è fondativo. Anzi, 30% di queste associazioni si occupa di violenza di genere solo dal 2014, cioè da quando esistono appositi fondi da destinare al finanziamento dei Centri antiviolenza e alle Case rifugio».

 

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L’esempio di lotta di Lucha y Siesta

Qual è il rischio rispetto a quanto esposto nell’interrogazione parlamentare? «Che donne che chiedono aiuto possano diventare un numero. Ma l’uscita dalla violenza, per essere concreta, ha bisogno di cura, empatia e supporto psicologico costante affiancati ad un reale percorso personalizzato emotivamente appagante anche in termini di uscita dalla violenza economica». È parlando con Barbara – responsabile della sartoria sociale della Casa delle Donne Lucha y Siesta – che abbiamo avuto un primo riscontro di quanto sia importante che questa realtà possa continuare il proprio lavoro di prevenzione, contrasto e rivoluzione culturale. Nata nel 2008 dal recupero della Sottostazione Cecafumo di proprietà Atac nel quartiere Tuscolano di Roma, La Casa delle Donne Lucha y Siesta è uno spazio restituito alla collettività, diventato non solo una casa di accoglienza per donne e minori che necessitano di percorsi di fuoriuscita dalla violenza, ma anche un polo culturale in cui il cardine è la lotta per i diritti delle donne e delle soggettività oppresse dal patriarcato. Eppure oggi Lucha y Siesta corre il rischio di essere sgomberata dopo la delibera del 17 ottobre della Giunta regionale di Francesco Rocca che chiede il ricollocamento dei nuclei accolti, la ristrutturazione e la messa a bando.

«Un programma – spiegano le attiviste di Lucha y Siesta in un comunicato – che poco ha a che fare con la politica di contrasto alla violenza di genere, anzi, che si colloca dalla parte di chi la violenza la agisce».

 

L’assemblea nazionale di Non Una di Meno presso Lucha Y Siesta domenica 26 novembre (Foto: Elisa Rossi)

 

Un lavoro culturale

La presa di posizione della Casa delle Donne è ben precisa ed è stata ben sottolineata anche durante l’assemblea nazionale di Non Una di Meno tenutasi lo scorso 26 novembre presso la sede di Lucha y Siesta. «Non è un caso che l’assemblea del più importante movimento a difesa delle donne si stia tenendo proprio qui – spiega Viola, un’attivista, durante la tavola rotonda. Nonostante sia una bella notizia che Atac si sia ritirata come parte civile nel processo in corso, rimane il fatto che Lucha y Siesta è chiamata a rispondere in tribunale per occupazione abusiva. Ma il nostro lavoro non è solo quello di ascolto e protezione delle donne vittime di violenza. Bensì un percorso di destrutturazione della violenza anche a livello culturale. Un esempio? I gemellaggi che abbiamo con diverse Case delle Donne nel mondo».

 

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L’Assemblea nazionale di Non Una di Meno

Forte è la motivazione di Lucha y Siesta nel lottare affinché questo progetto continui per la difesa delle donne e della destrutturazione della violenza di genere. E quello che viene fuori durante l’Assemblea nazionale di Non una di Meno del 26 novembre è che questa realtà sia esempio importante di quel “rumore” che dopo la morte di Giulia Cecchettin è tornato forte nelle nostre piazze. «Un rumore che – dicono le compagne dal palco – deve far riflettere anche sui principi fondativi di Non una di Meno. Le guerre e la crisi ecologica in atto non possono essere trattate diametralmente alla crisi sociale rappresentata dalla violenza di genere. Vergognosa la violenza di cui sono rimaste vittime le donne durante gli scontri con la polizia sotto la sede di Pro-Vita nel giorno della manifestazione del 25 novembre a Roma. La forte scintilla a cui stiamo assistendo in questi giorni deve rimanere accesa. Per farlo dobbiamo arrivare ai più giovani. E se non ci permettono di entrare nelle scuole, noi dobbiamo prendercele».

Lucha y Siesta è il rumore di cui abbiamo bisogno, non solo a Roma, ma in tutto il Paese.

La violenza di genere si combatte alla radice, educando i più giovani all’affettività, all’uguaglianza. Ecco perché l’esempio di questa realtà che pone le sue radici nell’intersezionalità la strada della lotta deve spingerci tutti a chiedere al nostro Governo di istituire l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, ma anche tutti gli altri strumenti concreti. Affinché le donne non debbano più essere coraggiose, ma possano essere semplicemente libere.

 

 

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Elisa Rossi
Laureata in Media, comunicazione digitale e giornalismo e in Comunicazione pubblica e d’impresa presso l’Università La Sapienza di Roma, sin da bambina sogna di diventare giornalista. Tra ruoli da web content writer e copywriter ha collaborato e collabora con alcuni siti di informazione online parlando di cultura e viaggi. Appassionata anche di tematiche ambientali e sociali, crede fermamente che cercare, raccontare e condividere storie sia una delle chiavi di miglioramento per una società civile. Ama esplorare nuovi luoghi e si sente a casa quando passeggia e poi si ferma a leggere a stretto contatto con la natura.

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