Pescatori impegnati nell'allevamento intensivo di orate nel mare della Grecia (dal documentario Until the end of the World)

Pescatori impegnati nell'allevamento intensivo di orate nel mare della Grecia (dal documentario Until the end of the World)

Until the End of the World, l’insostenibilità degli allevamenti ittici intensivi

Il nuovo documentario di Francesco De Augustinis è un viaggio giornalistico attraverso tre continenti che mostra l’acquacoltura intensiva e i suoi effetti: inquinamento, colonizzazione delle risorse marine e minacce per la biodiversità

Un filo collega le acque del Mediterraneo alle coste del Senegal e arriva fino all’Oceano Atlantico meridionale. È la catena di approvvigionamento dell’acquacoltura, l’industria ittica emergente che promette di sfamare miliardi di persone. Eppure, alla base di questo sistema alimentare indicato spesso come sostenibile risiedono meccanismi che inquinano paradisi naturali, minacciano la biodiversità marina e mettono in ginocchio piccole economie locali. A raccontare il sistema dell’acquacoltura globale è Francesco De Augustinis, giornalista e regista, nel suo nuovo documentario “Until the End of the World” (Italia, 2024).

 

Francesco De Augustinis, giornalista feelance specializzato in tematiche ambientali, nel 2012 ha vinto il premio Roberto Morrione per il giornalismo televisivo d’inchiesta

 

Dopo “Deforestazione Mady in Italy” e “One Earth – Tutto è Connesso”, De Augustinis attraversa tre continenti per un’inchiesta giornalistica che mostra come anche l’industria del pesce incida sempre più negativamente sulla nostra sostenibilità alimentare. Un viaggio fino alla fine del mondo.

Acque soffocate

L’inchiesta, durata tre anni e realizzata con il sostegno di Journalismfund.eu e di Internews’ Earth Journalism Network, parte dalle vasche che ospitano migliaia di pesci al largo delle coste della Grecia, il paese europeo con la maggior produzione di pesce allevato. In queste acque, per sviluppare ulteriormente il sistema dell’acquacoltura, è previsto l’ampliamento degli allevamenti in mare per centinaia di ettari. Una minaccia per i paradisi naturali marini del Peloponneso. «Gli allevamenti ittici hanno creato un disastro ecologico nel nostro mare e nei nostri pesci», racconta all’autore Thanases Gianniootes, membro della comunità di Kalamos, una delle Isole Ionie. Le immagini del docu-film scorrono fra vasche di allevamento e praterie di posidonia soffocate. Per scoprire il funzionamento, i rischi e l’impatto ambientale delle fish farm, De Augustinis raccoglie le testimonianze di pescatori, abitanti dell’isola e ricercatori che negli ultimi dieci anni hanno visto gli allevamenti invadere le baie greche. Un’industria in rapida ascesa che mette in pericolo non solo la biodiversità del territorio, ma anche l’economia locale.

 

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Produciamo pesce, pescando

È qualcosa che sta accadendo anche a Kayar, in Senegal, villaggio di pescatori distante pochi chilometri da Dakar. Seguendo a ritroso il viaggio delle materie prime destinate agli allevamenti europei, il regista raggiunge le coste dell’Africa occidentale, dove i pescatori fanno i conti con le grandi navi che catturano i piccoli pesci pelagici destinati alla produzione di farina e olio di pesce: il cibo che alimenta l’industria dell’acquacoltura. Come emerge dal documentario, è questo uno dei più grandi paradossi degli allevamenti ittici intensivi. Spiega a Sapereambiente De Augustinis:

«Usiamo grandi quantità di piccoli pesci, di cui le persone hanno bisogno, per farne quantità minori di pesci più pregiati come salmoni, spigole, orate, trote e tonni che vengono venduti nel mercato occidentale. In altre parole, invece di ridurre il sovrasfruttamento delle risorse ittiche, produciamo pesce, pescando.

 

Allevamenti intensivi di orate nei mari della Grecia
Allevamenti intensivi di orate nei mari della Grecia

Un nuovo colonialismo

A farne le spese, anche qui, non è solo la biodiversità marina sovrasfruttata ma anche l’economia locali. «Prima c’era abbondanza di pesce in mare, poi sono arrivate le imbarcazioni straniere e abbiamo assistito a una riduzione del pescato. Non c’era più pesce», racconta Mor Mbengue, pescatore di Kayar.

Le voci raccolte dal regista parlano di un nuovo colonialismo, «con il quale si sottraggono risorse, coste e specchi di mare per sviluppare industrie che depauperano il territorio e non lasciano nulla», spiega De Augustinis.

Con un consumo medio pro capite di 21 chilogrammi di pesce all’anno e la popolazione umana mondiale – oggi superiore agli otto miliardi – in crescita, la produzione di pesce è destinata ad aumentare. Per far fronte alle crescenti richieste alimentari si guarda così al mare, al punto che la Food and Agricolture Organization (FAO) ha posto l’acquacoltura al centro della “Trasformazione Blu”, il percorso per raggiungere la sostenibilità dei sistemi alimentari acquatici.

Una Trasformazione Blu insostenibile

Ad oggi, come indicato nell’ultimo rapporto sullo stato della pesca e dell’acquacoltura della FAO, sono circa 200 milioni le tonnellate di animali acquatici consumati per l’alimentazione e quasi il 50% del pesce che arriva nelle nostre tavole proviene dagli allevamenti ittici. Come emerge dal racconto di De Augustinis però, la trasformazione verso un sistema alimentare acquatico sostenibile è ancora lontana. «La Trasformazione Blu potrebbe puntare su produzioni più sostenibili, come la coltivazione di alghe e la pesca di sussistenza. Oggi, invece, a beneficiare dell’appoggio incondizionato da parte di Nazioni Unite ed enti internazionali è l’allevamento di pesci carnivori, che di sostenibile non ha nulla», dice il regista.

È questo il cuore della denuncia del documentario: si promuove un’industria intensiva, usando la bandiera della sostenibilità.

Pescatori artigianali a Kayar, Senegal (dal documentario Until the end of the World)
Pescatori artigianali a Kayar, Senegal (dal documentario Until the end of the World)

L’alternativa non è in Antartide

Per arginare il problema, le industrie ittiche sono alla ricerca di mangimi alternativi da usare negli allevamenti. È questa ricerca che ha condotto De Augustinis a Punta Arenas, nella Patagonia cilena. Alla fine del mondo. Da qui partono le spedizioni per la cattura del krill antartico, la nuova risorsa verso la quale iniziano a rivolgersi molte industrie ittiche per produrre i mangimi.

Con ottimi valori nutrizionali e disponibilità negli oceani che oscillano nel corso degli anni, il krill è considerato da molti un’alternativa sostenibile. Eppure, è una risorsa alla base della catena alimentare marina e il suo sfruttamento potrebbe alterare i delicati equilibri degli oceani.

«La soluzione non è portare in Antartide, una delle regioni del mondo più colpite dal cambiamento climatico, un modello di pesca intensiva. Quello che dobbiamo fare è ridurre dove possibile il consumo di pesce e lasciare i piccoli pesci pelagici a disposizione di chi dipende da queste risorse», conclude De Augustinis. “Until the End of the World” sarà nei cinema delle principali città italiane a partire da Marzo 2024.

Per saperne di più

https://www.one-earth.it/en/home/

 

 

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Saperenetwork è...

Enrico Nicosia
Naturalista rapito dal fascino per il mondo naturale, sommerso e terrestre, e dei suoi abitanti, spera un giorno di poterli raccontare. Dopo la Laurea in Scienze della Natura presso l’Università di Roma “La Sapienza” va in Mozambico per un progetto di conservazione della biodiversità dell’Africa meridionale. Attualmente collabora come freelance con alcune testate come Le Scienze, Mind e l’Huffington Post Italia, alla ricerca di storie di ambiente, biodiversità e popoli da raccontare

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