Gerda Stevenson

Gerda Stevenson è poetessa, attrice e regista scozzese. Ha interpretato il ruolo della madre di Murron MacClannough nel film "Braveheart" (1995) di Mel Gibson

Donne in liriche, tra macro e microstoria. Le Quines di Gerda Stevenson

Un mosaico nel quale artiste, regine, attiviste politiche, provenienti da vari strati sociali e diverse zone della Scozia si raccontano al lettore. L’ultima raccolta della poetessa, attrice e regista scozzese attesa a Roma per il Festival europeo di poesia ambientale

Storia e letteratura mirabilmente fuse da uno stile piano, impregnato di composta ‘ferocia’: dello scarto profondo tra le parole e le cose. Queste le caratteristiche dell’elaborazione poetica di Gerda Stevenson, autrice – diciamolo subito – dalla voce inconfondibile, poliedrica interprete di questo mondo, di un tempo inteso come sintesi eliotiana, che addensa passato e futuro nel presente.

Poeta, drammaturga, attrice, regista teatrale e cantautrice scozzese, Stevenson lavora sui vuoti, sfida i limiti della tradizione mediante un’estetica “dissidente” che fa del linguaggio uno strumento di lotta, una precisa rivolta contro gli archetipi e le manifestazioni del potere.

La natura

I grandi fuochi della sua opera – dall’attenzione al paesaggio al codice linguistico-identitario, memoria particolare e condivisa – esemplificano questa attitudine, già messa in luce dalla prima raccolta di versi If This Were Real (Smokestack Books, 2013), edito in Italia da Ensamble con la bella traduzione di Laura Maniero.  La topica della natura, che si dirama in molteplici rivoli di motivi, pervade l’opera di Stevenson e imprime ai versi un chiaro intento sovvertitore, spesso accompagnato – con altrettanta efficacia – dallo sguardo sull’universo femminile, sulla dilapidazione cui sono sottoposti i saperi delle donne. E non a caso ha partecipato nel 2020 alla prima edizione del Festival Europeo di Poesia Ambientale, interamente on-line a causa della fase pandemica, ed è attesa in presenza per la terza che si terrà all’inizio di novembre a Roma.

 

Gerda Stevenson ha partecipato nel 2020 al Festival di Poesia Ambientale
Gerda Stevenson ha partecipato nel maggio 2020 al Festival europeo di Poesia Ambientale organizzato da Saperenetwork

 

È questo il nucleo di Quines. Tributo poetico a donne della Scozia, raccolta di liriche vivide, ora proposte al pubblico in una seconda, più ricca edizione (da Ensamble, 2021). Già il titolo, derivato dall’antico termine di Aberdeen per “donne”, svela un impegno di riscoperta, il ricorso a uno stile nudo che scarnifica la realtà e i suoi pre-testi dando voce a figure adombrate, ai silenzi della Storia. Come afferma Carla Sassi nella premessa:

«L’opera travalica i confini della narrazione storica convenzionale per giocare con anacronismi, compressioni temporali e immedesimazioni fantastiche»

È connotata da una struttura a soffietto, che si dilata e contrae a seconda del tributo, offrendo la possibilità di centellinare i versi, di focalizzare – con sguardo “dal margine” – i conseguimenti inesplorati delle donne di Scozia.

Sguardo femminile

Funzionale, in quest’ottica, risulta la disposizione delle liriche, da Stevenson organizzate per scorci, secondo un’ottica “mista” che privilegia gli accadimenti, episodi di vita tra macro e microstoria. Ne emerge, con effetto ricercato, un affresco a mosaico procedente da un’identità sfaccettata e prismatica, del tutto avulsa da tentazioni nazionaliste. L’occhio dell’autrice fissa i dettagli, è una lente sul particolare che sfuma, si allarga all’universale in termini di azione sull’oggi, sul percorso intrapreso dalla giustizia di genere.

I crismi dell’universalità si trovano nel rapporto uomo-donna, o meglio nella narrazione per tabù normativi, che impongono uno spazio del femminile, la rinuncia agli onori, la dicotomia autoaffermazione/amore.

 

Guarda la presentazione di Quines, curata da Ensemble Editore (18 maggio 2021)

 

Quella di Quines è una ridda multiforme, composta di donne provenienti da vari strati sociali e diverse parti della Scozia: artiste, regine, attiviste politiche, tutte in bilico sul crinale della dimenticanza, proiettate – ancor prima della morte – in un universo di esilio, di lacerazione del quotidiano. Per raccontarle, e disseppellire i loro vissuti, Gerda Stevenson adotta le tre lingue nazionali della Scozia: il gaelico, lo scots e l’inglese.

È una scelta di concretezza, che scava sotto la superficie uniformante della realtà svelando crepe inattese, così da favorire – anche – il distacco del lettore, costringendolo a interrogarsi, a sfiorare la moltitudine.

Ciascun monologo, detto dalla donna o da qualcuno o qualcosa a lei vicino, oscilla tra fratture e ricomposizioni, si carica di una musicalità che ha qualcosa di torbido, come un silenzio che si dirada – senza giungere mai al “clamore”.

La lingua

La lingua di Stevenson tende alla demolizione, è chiara eppure eccessiva, abile nell’adottare registri differenti, nel dosare sarcasmo e malinconia, ironia e disincanto. Laura Maniero opta per una traduzione mirabilmente calibrata, tesa al rispetto dell’originale pur nella consapevolezza del distacco, del “dramma” dell’intraducibile. Il risultato è sofisticato, privo di ardimenti stilistici e al tempo esente dal richiamo monocorde, con un’ottima cura della musicalità e dei ritmi spesso evocati mediante giochi di assonanze, chiamati a sopperire la frequenti rime a fine verso.

 

Certo ammaliata dai giochi formali di Stevenson, Maniero costruisce un impianto fedele, mai fuori misura e in cerca di duttili equivalenze, attento anche alle immagini, al tesoro figurativo che l’autrice confeziona (recente è la collaborazione di Stevenson con il fotografo Allan Wright per il volume Edinburgh, Allan Wright Photographic, 2019).

La materia dei versi, tutta assorbita da ‘io’ poetici che sciorinano un discorso, risulta infatti intessuta di riferimenti visivi, dai più banali oggetti («strisce inerti di cuoio»; «la camicia strappata») ai simboli extra-terreni («angeli bianchi»; «spettri»).

Una condizione che sottende un divenire, la spiegazione di un qualcosa che ha appena iniziato a chiarirsi, dopo anni – secoli – di omissioni e di tormenti. Quella di Stevenson è spesso una poesia della non-astrazione, composta di allegorie limpide e richiami sinestetici, sottoposta a una sintassi tutt’altro che nevrotica (frequenti gli enjambement, ma mai invasivi).

Al centro c’è il soggetto donna, la sua costruzione a posteriori come per un riscatto etico-morale, alla ricerca di sé: fuori dallo scarto tra le parole e il mondo.

Saperenetwork è...

Ginevra Amadio
Ginevra Amadio
Ginevra Amadio si è laureata con lode in Scienze Umanistiche presso l’Università Lumsa di Roma con tesi in letteratura italiana contemporanea dal titolo Raccontare il terrorismo: “Il mannello di Natascia” di Vasco Pratolini. Interessata al rapporto tra letteratura, movimenti sociali e
violenza politica degli anni Settanta, ha proseguito i suoi studi laureandosi con lode in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con tesi magistrale dal titolo Da piazza Fontana al caso Moro: gli intellettuali e gli “anni di piombo”. È giornalista pubblicista e collabora con webzine e riviste culturali occupandosi prevalentemente di letteratura otto- novecentesca, cinema e rapporto tra le arti. Sue recensioni sono apparse in Oblio (Osservatorio bibliografico della letteratura otto-novecentesca) e sulla rivista del Premio Giovanni Comisso. Per Treccani.it – Lingua Italiana ha pubblicato un contributo dal titolo Quarant’anni fa, anni di piombo, sulle derive linguistico-ideologiche che segnano l’immaginario dei Settanta.

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