Molti fotografi naturalisti contemporanei usano la propria arte per promuovere la difesa degli ecosistemi

Cinque fotografi naturalisti contemporanei che dovete conoscere

La fotografia naturalistica ha sviluppato la tendenza a ridurre il divario fra soggetto e spettatore, offrendo un’esperienza di contatto ravvicinato con gli ecosistemi per stimolare sentimenti di amore, meraviglia e cura. E l’arte fotografica si mette al servizio della conservazione degli habitat

Continuiamo il nostro viaggio nella storia della fotografia naturalistica, presentando, dello scenario contemporaneo, cinque nomi che hanno lasciato un segno.

Galen Rowell

Galen Rowell è stato un fotografo californiano attivo tra la metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni 2000. A lui va il merito di aver introdotto un concetto che si rivelerà fondamentale per l’attività di molti fotografi naturalisti contemporanei, quello di “fotografia partecipativa”. Ritrarre la natura, per Rowell, non poteva ridursi a un esercizio di stile: occorreva «rendere l’arte un’avventura e viceversa», caricando lo scatto di partecipazione emotiva.

 

Galen Rowell
Galen Rowell ha dedicato la propria energia creativa alla ricerca di fenomeni naturali rari, realizzando scatti in cui si avverte fortemente il protagonismo dell’autore (Foto: Youtube)

A suscitare questo salto di prospettiva è stata la sua passione per le arrampicate nella Yosemite Valley: l’idea di produrre scatti inusuali sfruttando la tensione dinamica, ovvero facendo del proprio corpo un mezzo per l’espressione artistica, deriva proprio dal bisogno di immortalare le proprie imprese sportive più spettacolari.

La sua opera più celebre, definita «uno scatto da un milione di dollari» (tanto si calcola abbia realizzato Rowell in diritti, donando peraltro parte dei proventi alla comunità tibetana) è certamente “Rainbow Over Potala Palace”, un ritratto dell’arcobaleno a Lhasa, un’esplosione di colori sul fondo blu delle montagne. Rowell, che si trovava in Tibet per conto del National Geographic, notò il fenomeno quasi per caso mentre era intento a seguire altri lavori. Si trovava però a grande distanza dallo scatto perfetto. Decise comunque di tentare la sorte e trascinandosi dietro la pesante attrezzatura, scavalcò una recinzione, dandosi a una disperata corsa tra le sterpaglie, a 3700 metri d’altitudine, inframmezzata solo dai rapidi scatti della macchina. «Presto, l’arcobaleno divenne più intenso, e così anche la mia ricerca», scrive in uno dei suoi libri. Lo spettacolo somigliava a un sogno, nell’atmosfera limpida e rarefatta. «Come per magia, si aprì uno squarcio nel cielo, irradiando un fascio di luce serale direttamente sul palazzo del Potala». Quello scatto, così perfetto da divenire emblematico, è frutto di una visione in cui l’artista, pur non comparendo affatto, è parte integrante della scena.

La vita di Rowell è stata un’avventura in cui ogni energia creativa è stata indirizzata alla ricerca di fenomeni naturali rari e spettacolari, animali in via di estinzione, luoghi eterei in cui non si fosse ancora manifestata in modo evidente la mano dell’uomo. E avventurosa lo è stata fino in fondo, fino alla tragica scomparsa avvenuta l’11 agosto del 2002 a seguito di un disastro aereo, mentre era di ritorno da un viaggio in Alaska.

Hugo van Lawick

Hugo van Lawick ha dedicato la sua vita alla divulgazione della natura africana: scimpanzé, leoni, elefanti, ghepardi e giraffe sono tra i soggetti da lui più ritratti. Nato nell’isola di Giava da una famiglia olandese di nobili origini, il giovane van Lawick era uno scolaro distratto, con difficoltà nella lettura, ma irresistibilmente attratto dalla narrazione per immagini e con un grande spirito d’avventura. A soli 22 anni decide di partire per l’Africa, senza sapere che finirà per trascorrervi oltre 40 anni, fino alla morte avvenuta nel 2002 in Tanzania.

 

Hugo Van Lawick
Hugo Van Lawick ha fotografato la natura africana per quarant’anni (Foto: Youtube)

 

Documentarista ossessionato dai dettagli, dalla ricerca della luce e della plasticità del movimento animale, il suo nome è legato a quello di Jane Goodall, tra le più importanti etologhe e antropologhe al mondo, famosa per l’impegno a favore dell’ambiente e per le sue ricerche sugli scimpanzé. Van Lawick arriva in Africa lavorando per conto dei coniugi Denis, registi che producevano documentari e film per la BBC, ma viene poi ingaggiato dalla National Geographic Society, ambiente in cui è introdotto da Louis Seymour Bazett Leakey, tra i più famosi paleoantropologi del tempo e mentore di Jane Goodall. La collaborazione tra van Lawick e Goodall porterà alla nascita di alcuni tra gli scatti più iconici della primatologia. Amicizia e collaborazione dureranno un’intera esistenza, mentre il loro matrimonio, avvenuto nel 1964, a due anni dal primo incontro, si concluderà con un divorzio dopo un decennio.

L’opera di Van Wick merita di essere ricordata per il ruolo svolto a sostegno della divulgazione scientifica ma anche per la rilevanza che la sua attività ebbe nell’ispirare e guidare una nuova generazione di fotografi e documentaristi, spesso ospitati nel suo accampamento nella pianura di Serengeti, nel cuore della savana.

Frans Lanting

Uno stile inconfondibile è ciò che rende questo artista olandese tra i più amati e apprezzati fotografi della natura: i suoi sono scatti dai colori vividi e brillanti, surreali, a volte tanto saturi da sembrare artificiali. La ricerca di un “tono pieno” è volta a generare un moto di stupore e rispetto verso quella bellezza che, immortalata nella sua limpida freschezza su pellicola, rischia però di sbiadire nella vita reale.

 

Frans Lanting
Il fotografo e attivista per l’ambiente Frans Lanting pubblica i suoi scatti su riviste scientifiche di tutto il mondo (Foto: Wikimedia Commons)

L’arte si intreccia con l’attivismo ambientalista, per stimolare l’empatia nei confronti di tutti gli esseri viventi e promuovere il riconoscimento del legame che ci connette, a livello profondo, con l’ambiente che ci circonda. Al fotografo «spetta il compito di dare voce al mondo naturale», valorizzando dettagli piccoli e poco noti, che riaffermino la bellezza e l’unicità di ogni singola espressione.

Per Lanting tutto ha avuto inizio come un passatempo da coltivare nelle pause dallo studio: i primi soggetti ritratti sono stati per lui i piccoli animali del parco cittadino antistante l’Erasmus University di Rotterdam, dove studiava economia. È stato il contatto con altri fotografi di spicco a stimolarlo a dedicarsi alla fotografia a tempo pieno. Le sue opere, oltre a comparire sul National Geographic (rivista con la quale ha sempre collaborato stabilmente), fanno capolino in quasi tutte le principali riviste scientifiche del pianeta, sono protagoniste di mostre e pubblicazioni e sono valse all’artista, nell’arco di oltre vent’anni, un gran numero di premi internazionali, tra cui l’Ansel Adams Award for Conservation Photography nel 1997 (istituito dal Sierra Club per premiare i fotografi maggiormente impegnati negli sforzi di conservazione della natura) e il Cherry Kearton Medal and Award della Royal Geographical Society nel 2010.

Paul Nicklen

Paul Nicklen è un biologo, ambientalista e fotografo canadese specializzato nel ritrarre le aree più fredde del pianeta. Conservatorista per eccellenza, il suo scopo è raccontare storie che possano contribuire a una visione etica del rapporto con la natura. E lo fa restituendo al mondo un’immagine inedita dei ghiacci, in cui egli vede, oltre l’apparente calma, un mondo vivace e ricco di vita.

 

Paul Nicklen
Paul Nicklen, grande fotografo dell’artico, ha fondato con Cristina Mittermaier la ong Sealegacy per la salvaguardia della salute degli oceani (Foto: Wikimedia Commons)

 

L’incontro con il Circolo Polare Artico – dove si trasferisce dal Canada con i genitori a metà degli anni ’70, all’età di appena sei anni – ha segnato la sua vita di uomo e di artista. Crescendo in un ambiente “difficile” e autentico, Nicklen ha costruito con la natura un legame profondo e viscerale, che ha influenzato profondamente le sue scelte e i suoi indirizzi artistici. Gli insegnamenti del popolo inuit, l’assenza di tecnologia e le sfide alla sopravvivenza sono alla base del desiderio di ritrarre proprio quei luoghi dove in pochi si spingono, elaborando un modo artistico per svelare segreti di vita.

Lì dove la quotidianità si fa estrema e non ci sono che le sfumature del grigio e del blu a stimolare la creatività. Un limite che Nicklen non vede, perché il suo Artico è “a colori”: un ecosistema ricco, brulicante di biodiversità e di sfumature da raccontare.

Dopo essere rientrato in Canada per studiare biologia marina all’università di Victoria (la stessa che lo premierà anni dopo con un Dottorato ad honorem per il suo impegno di divulgatore), nel 1995 Nicklen torna tra i ghiacci per dedicarsi alla fotografia come mezzo per coinvolgere le persone nella lotta ai cambiamenti climatici e avvicinarle alla scienza. A renderlo famoso sono soprattutto i suoi ritratti di lupi, orsi, foche, orche e balene, le cui espressioni risultano spettacolari, a volte tenere o ricche di ironia, capaci di incantare e stupire. Nel 2014 insieme alla fotografa Cristina Mittermeier, ha fondato SeaLegacy, un’organizzazione che ha l’obiettivo di salvaguardare la salute degli oceani. Il suo account Instagram conta oggi oltre 7 milioni di followers (quello di Sea Legacy oltre 2 milioni).

Cristina Mittermeier

Cristina Mittermeier è un’artista poliedrica la cui opera è caratterizzata da un forte impegno ambientale e sociale. Con lei l’arte si fa dichiaratamente conservazionista: il ruolo del fotografo naturalista diviene quello di veicolare messaggi di denuncia, testimonianza e monito sulla necessità di preservare e conservare gli ecosistemi, garantendo la sopravvivenza dei loro abitanti e delle comunità umane che con essi hanno intrecciato patti impliciti di amore e di custodia, per centinaia o migliaia di anni.

 

Cristina Mittermeier
Cristina Mittermeier racconta con i suoi scatti la vita di comunità che vivono in armonia con la natura (Foto: Youtube)

 

Nel 2005 Mittermeier fonda ufficialmente la lega che riunisce i più importanti fotografi che aderiscono a questa visione (International League of Conservation Photographers). E ne fa, ovviamente, la missione di tutte le sue opere, che divengono portabandiera di un imperativo etico: la necessità, urgente, di adottare una visione sistemica della vita sul pianeta.

«Il mio lavoro consiste nel costruire una maggiore consapevolezza della responsabilità di ciò che significa essere umani. Si tratta di capire che la storia di ogni essere vivente che sia mai esistito su questo pianeta vive anche dentro di noi».

Nata e cresciuta in Messico, dove si è laureata in biologia marina, ha poi studiato fotografia negli Stati Uniti. Una formazione che l’ha ricondotta a unire arte e scienza, un tratto che condivide con il collega Paul Nicklen, insieme al quale ha fondato SeaLegacy. Ma il merito di Cristina Mittermeier è soprattutto quello di aver restituito all’essere umano un ruolo di protagonista negli scatti di fotografia naturalistica. Con lei, infatti, questa diviene strumento per raccontare le storie delle comunità che vivono a stretto contatto e in armonia con animali, vegetali e cicli naturali, di come, insomma, queste si intreccino con la natura stessa. Per ispirare, dunque, quel cambiamento di cui la fotografia conservazionista si fa portatrice: cancellare le distanze, adottando una visione sistemica del mondo. Per affermare che modelli diversi sono non solo auspicabili ma anche possibili.

Saperenetwork è...

Anna Stella Dolcetti
Anna Stella Dolcetti
Anna Stella Dolcetti, laureata in lingue e culture orientali presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un master in International Management alla Luiss Business School, si è specializzata in Marketing all’Istituto Europeo di Design e in Green Marketing all’Imperial College di Londra. È vincitrice e finalista di competizioni dedicate alle nuove tecnologie (Big Data e Blockchain) e lavora nella comunicazione per aziende ad alto tasso di innovazione. È diplomata in "sommellerie" e appassionata di alimentazione naturale. Nel tempo libero passeggia nei boschi, scala montagne e legge avidamente di biologia, astronomia, fisica e filosofia. Crede fermamente nella sinergia tra metodo scientifico e cultura umanistica e nell’utilizzo delle nuove tecnologie al servizio di etica, rispetto e sostenibilità sociale e ambientale.

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