Cinque pittori di natura che dovete conoscere
Maree spettacolari, vegetazioni lussureggianti, paludi oniriche, sguardi felini, oppure pathos in equilibrio tra creazione e distruzione. La natura nelle diverse interpretazioni pittoriche, da Martin Heade a Caspar Friedrich
Rendere su tela le bellezze e le emozioni suscitate dalla natura è l’aspirazione di molti artisti. Oggi vi presentiamo cinque pittori che, tra Settecento e inizio Novecento, da Oriente a Occidente, hanno reso omaggio con le loro opere agli infiniti colori ed espressioni del mondo naturale.
Martin Johnson Heade
Martin Johnson Heade nasce nel 1819 in Pennsylvania, in un piccolo villaggio sul fiume Delaware. Scopre la pittura in giovane età studiando con Edward Hicks, la cui impronta quacchera e lo stile rigoroso influenzeranno in maniera evidente i suoi primi lavori, soprattutto nell’uso vibrante del colore e nella rigidità delle figure.
A vent’anni decide di lasciare gli Stati Uniti alla ricerca di linguaggi artistici nuovi, prima dirigendosi verso l’Europa – resterà a Roma per oltre due anni – e poi adottando uno stile di vita libero e itinerante, che lo porterà a toccare i porti di tutte le coste americane, visitando più volte la Columbia Britannica, la California, i tropici e il Brasile.
Ed è proprio in quella natura colorata e gioiosa che Heade troverà la via per esprimere se stesso, divenendo “ritrattista” di piante, fiori, insetti e piccoli uccelli.
Nella volontà di trasferire su tela le emozioni suscitate dal paesaggio, egli si dedicherà anche alla creazione di opere drammatiche, «ricche di furia elementale» (così le definirà il mercante e storico dell’arte Robert G.McIntyre, a cui va il merito di aver riscoperto l’arte di Heade dopo il mezzo secolo di oblio che seguì la morte dell’artista).
La spettacolarità e il pathos di mareggiate minacciose, paludi dalle atmosfere sognanti e oniriche e tramonti rosa confetto, gli varranno il plauso della critica e dei suoi amici della Hudson River School (un movimento di ispirazione romantica che riuniva, in particolare, artisti interessati a ritrarre le bellezze del fiume Hudson) ma non rappresenteranno mai la realizzazione delle massime aspirazioni dell’artista.
Martin Johnson Heade vedeva riflesso il suo animo in una pittura più intimista, nelle profondità di foreste tropicali dal verde intenso che si schiudono delicatamente come scrigni su orchidee rosa cipria, farfalle blu, vivaci colibrì rossi e gialli, a cui fanno da sfondo cieli coperti di un grigio polveroso. Le opere di questo artista sono suntosi ritratti, che rendono giustizia a una natura maestosa e trattano le espressioni della vita vegetale e animale con la stessa cura e attenzione riservata al ritratto della figura umana.
Henri Rousseau
Paesaggi lussureggianti e fiabeschi, in cui sogno e realtà si mescolano; la giungla che si trasforma in un palcoscenico di situazioni che manifestano un commovente e straniante realismo magico. Rousseau dipinge la comunione con la natura, il mistero del femminile e dell’arcaico, spingendoci a indagare le profondità dell’animo umano, riflesso nello sguardo di un felino o in una figura di donna, che è Dea e incantatrice, capace di guidare i serpenti con il dolce suono di un flauto. Guardando le opere esotiche di questo artista visionario, che fu anche compositore e violinista, è difficile credere che non si sia mai mosso dalla Francia: nato nella Valle della Loira, visse a Parigi per tutta la vita.
«Non ho altro insegnante che la natura», diceva, e per questa ragione trascorreva molto tempo nello zoo e nei giardini botanici della capitale francese, riempiendo i suoi quaderni di appunti e ispirazioni visive.
Si faceva anche raccontare dai suoi ex compagni di artiglieria, coinvolti in spedizioni all’estero, le bellezze del centro America e della Nuova Caledonia e passava, infine, molte ore in biblioteca, con il naso tra gli atlanti e i giornali di viaggio. Madre Natura era la sua guida per dipingere mondi che si incontrano in uno spazio libero da ogni giudizio: i pericoli e i misteri della giungla profonda non spaventano, perché un senso di fiducia emana dalle atmosfere colorate e costellate di incanto dei suoi quadri.
È un mondo in cui l’esotico diviene luogo rifugio dal conformismo borghese, dove sognare e perdersi, solo per concedersi il lusso di ritrovarsi davvero.
Henri Rousseau inizia la sua carriera artistica intorno ai quarant’anni, mentre si mantiene lavorando in dogana (da qui deriverà il suo soprannome, “il doganiere”), non senza difficoltà e dimostrando una tenacia ammirevole. È osteggiato, almeno all’inizio, da tutti: la critica non lo degna di alcuna attenzione (e anche quando lo fa, è per bollarlo come fenomeno di poco conto), e gli stessi membri dei circoli artistici più in vista lo ritengono un autodidatta dalla pennellata elementare. Ma proprio lo stile naïf diverrà il suo “marchio di fabbrica”. Nel tempo affinerà la tecnica, facendosi strada così nello scenario artistico europeo di inizio Novecento, conquistando persino il giovane Picasso che delle sue opere apprezzerà il candore.
Quadri come favole della buonanotte, in cui l’artista mette tutto di sé: la fiducia nei sogni, l’amore per la musica, il desiderio di visitare mondi altri attraverso l’arte.
Joseph Mallord William Turner
William Turner è artista romantico per eccellenza, pittore della luce e delle espressioni più autentiche e spettacolari della natura: gigantesche onde ricche di spuma, tramonti infuocati, campagne brumose, scogliere taglienti e rifulgenti arcobaleni. Le sue opere che eleggono il mare come protagonista, in particolare, sono un inno all’esperienza diretta della natura in puro stile sublime.
Guardandole, non si può fare a meno di cullarsi nella dolce illusione che fa sentire l’odore fresco, pungente e minerale dell’aria carica di iodio. Turner nasce a Londra nel 1775, da una famiglia di commercianti. Incoraggiato dal padre – che esponeva con fierezza i suoi primi disegni in bottega – a perseguire una carriera artistica, entra nelle Royal Academy Schools, la più antica accademia d’arte britannica, dove studia pittura, architettura e scultura. Negli anni la sua predilezione va alla creazione di dipinti a olio e acquerelli dal vivo, si sposta perciò frequentemente alla ricerca di bellezze naturali da immortalare: Scozia, Galles e l’Inghilterra sud-occidentale le sue mete preferite.
La sua capacità di cogliere la drammaticità delle scogliere calcaree della gola di Avon gli varrà il soprannome di “Principe delle rocce”.
Si recherà anche in Francia, sulle Alpi svizzere e qualche anno più tardi in Italia, per tournée alle quali assocerà la ricerca di nuove ispirazioni. Alla Royal Academy, di cui entra a far parte nel 1799 in qualità di “vero prodigio”, lo ritengono arrogante e scostante: lui bada poco alle critiche, ama la solitudine della campagna e i pomeriggi tranquilli trascorsi in barca sul Tamigi.
Maturando, la sua pittura si lega sempre più alla poesia romantica, divenendo lirica illustrata le cui ispirazioni sono i poemi di Roger e di Scott, i versi di Byron e di Milton, in cui la natura è protagonista assoluta.
Katsushika Hokusai
Lo spirito indomabile e ciclico del paesaggio che fa da sfondo alle più piccole vicende umane. Katsushika Hokusai è probabilmente il pittore e incisore giapponese più famoso in occidente, merito della sua opera Una grande onda al largo di Kanagawa e dell’amore di Van Gogh per questo artista, e in particolare per questa specifica opera, che ispirò alcuni dettagli della sua Notte stellata.
La natura è la tematica centrale attorno alla quale ruota la produzione di questo artista giapponese esponente dello stile Ukiyo-e (le “immagini del mondo fluttuante”), ispiratosi al Buddhismo Nichiren e influenzato dallo shintō, religione animista nativa del Giappone per la quale ogni ambiente naturale è dimora di uno o più kami, spiriti elementali che sono manifestazioni dell’energia che permea l’universo.
La venerazione della natura, che nasconde in sé saggezza e sacralità antiche, si fa arte ricca di simbolismi.
Il mare, calmo o in tempesta, sembra possedere una sua personalità, ora benevola ora minacciosa; una cascata luminosa richiama una figura umana dalle molte braccia; il monte Fuji, simbolo di immortalità, si svela oltre fiori di ciliegio in boccio che ricordano l’impermanenza delle cose del mondo; una balena svela tutta la sua maestosità di fronte a piccole barche dall’aria fragile; un pescatore si affaccia su un oceano di onde in tumulto, sporgendosi da una roccia che sembra essa stessa un’onda; la neve diviene un mantello da sfoggiare. Hokusai nasce a Edo, l’antica Tokyo, nel 1760. Cresciuto in una famiglia di produttori di specchi, inizia a dipingere all’età di sei anni e appena adolescente lascia la sua casa per unirsi a una biblioteca itinerante. È il suo primo contatto con il mondo dei libri e della stampa, che avrà un ruolo cruciale nel suo futuro come incisore.
Ma è solo alla soglia dei quarant’anni che Hokusai inizia davvero la sua carriera artistica, raggiungendo una notevole fama nell’arco di appena un decennio.
Seguendo l’usanza giapponese che vede l’artista ricorrere a un nuovo nome d’arte ogni qualvolta lo stile evolve (poiché si ritiene che i diversi periodi artistici corrispondano a cambiamenti non soltanto nell’arte, bensì nell’animo dell’artista stesso), Hokusai arriverà a vantare, lungo una carriera durata quasi sessant’anni, oltre trenta nomi.
Caspar David Friedrich
L’essere umano e l’ambiente: un binomio che diviene poesia intimista nelle opere di questo artista romantico, che nella natura si immerge come in un mare di meraviglia, abbandonandosi alla spiritualità e al sogno. Caspar David Friedrich è il pittore della contemplazione estatica di fronte alla natura selvaggia, che si contrappone alla frenesia dell’uomo ottocentesco immerso in una visione materialistica del mondo, nei prodromi della società industriale.
«Devo fondermi con le mie nuvole e le mie rocce per essere ciò che sono» ha scritto Friedrich.
Nasce nel 1774 in Germania, a Greifswald, città sulle rive del Baltico, figlio di un produttore di saponi. La sua infanzia sarà segnata dalla tragica perdita della madre e di due fratelli, uno dei quali morirà cadendo in un lato ghiacciato. Un evento che segnerà anche la sua arte, contribuendo a formare la sua visione della natura come delicato equilibrio tra creazione e distruzione. Studierà arte prima all’Università di Greifswald, poi in Danimarca. Rientrato in patria deciderà di trasferirsi a Dresda, continuando però a visitare con frequenza regolare i boschi di Greifswald, sua principale fonte di ispirazione, fino alla sua morte, avvenuta nel 1836.
Di fronte ai suoi quadri un senso di stupore unito a una sorta di timore reverenziale investe lo spettatore: ci si sente piccoli di fronte allo spettacolo affascinante di una natura al pieno della sua potenza. Quadri che sono come preghiere, tra i boschi e il mugghiare del mare, manifestazioni che testimoniano “la presenza di Dio nel mondo”.
In un’epoca che andava troppo veloce per rendere omaggio alla natura, le sue opere verranno snobbate, ritenute un inaccettabile invito alla riflessione e alla pigrizia. Verranno riscoperte oltre un secolo dopo la sua morte.
Saperenetwork è...
- Anna Stella Dolcetti, laureata in lingue e culture orientali presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un master in International Management alla Luiss Business School, si è specializzata in Marketing all’Istituto Europeo di Design e in Green Marketing all’Imperial College di Londra. È vincitrice e finalista di competizioni dedicate alle nuove tecnologie (Big Data e Blockchain) e lavora nella comunicazione per aziende ad alto tasso di innovazione. È diplomata in "sommellerie" e appassionata di alimentazione naturale. Nel tempo libero passeggia nei boschi, scala montagne e legge avidamente di biologia, astronomia, fisica e filosofia. Crede fermamente nella sinergia tra metodo scientifico e cultura umanistica e nell’utilizzo delle nuove tecnologie al servizio di etica, rispetto e sostenibilità sociale e ambientale.
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