Pocong in Indonesia

Due giovani nel villaggio di Kepuh a Sukoharjo, Giava Centrale, vestiti da pocong controllano se vengono rispettate le misure restrittive contro il Covid-19 (Foto:Jakartapost.com )

Pocong in Indonesia
Due giovani nel villaggio di Kepuh a Sukoharjo, Giava Centrale, vestiti da pocong controllano se vengono rispettate le misure restrittive contro il Covid-19 (Foto: Jakartapost.com )

 

Da qualche giorno nel villaggio di Kepuh, nella Giava centrale, in Indonesia, sono tornati i fantasmi avvolti nel sudario o Pocong. Questi spiriti, che secondo la tradizione indonesiana perseguitano le persone per farsi liberare dal panno bianco (Kain Kafan) utilizzato nella sepoltura — protagonisti dell’omonimo film di Rudy Soerdjarwo, e censurato nelle versioni Dvd francesi e tedesche a causa delle scene inquietanti — in realtà sono ragazzi che hanno deciso di collaborano con le forze dell’ordine nella lotta contro il Covid-19.  Controllano gli ospiti che entrano nel villaggio e verificano che i residenti obbediscano alle restrizioni introdotte dal governo sugli incontri sociali.

«È una terapia d’urto, in quanto le persone prestano maggiore attenzione a qualsiasi cosa legata alla morte», ha spiegato Anjar Panca, custode della moschea di Al Himmah di Kesongo.

Fra i residenti infatti ancora non c’è consapevolezza degli effetti devastanti del virus. E l’Indonesia rischia di andare incontro a una ecatombe sanitaria. Attualmente si contano 5933 casi confermati e 520 morti,  e potrebbero aumentare con la fine del Ramadan, a maggio, che porterà circa 75 milioni di persone a viaggiare dalle grandi città verso i piccoli villaggi. Occorrono, pertanto, nuove strategie per ridurre i contagi. E anche la paura può essere una soluzione.

Un metodo di controllo non comune è stato adottato anche a Mojokerto, nella Giava orientale. Qui gli agenti della polizia stradale indossano elmetti a forma di coronavirus per mantenere alta l’attenzione sui rischi della pandemia. Mentre Marianus Samsung, capovillaggio di Galang, nella reggenza di Manggarai Occidentale,  ha dichiarato:

«I nostri antenati per non far uscire i bambini di notte ricorrevano al kating (spaventare le persone) attraverso il mito o la tradizione popolare. Se le richieste del governo riguardanti il distanziamento fisico vengono ignorate, lo useremo».

 

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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