(Foto: Roger Lo Guarro)

750 milioni di persone senza cibo, soprattutto donne e giovani. I dati dell’Indice Globale della Fame

Il nuovo rapporto curato per l’Italia dal Cesvi spiega come gli attuali sistemi alimentari minacciano soprattutto ragazze e ragazzi, che vivono oggi l’insicurezza alimentare ed erediteranno sistemi insostenibili, iniqui, non inclusivi e sempre più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico

Mostrano uno scenario preoccupante i numeri dell’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI), curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance2015. Nel mondo sono 750 milioni le persone che  soffrono la fame. E nessun progresso è stato fatto dal 2015 per affrontare il dramma che in 43 paesi ha raggiunto livelli allarmanti. É cresciuto nel 2023 inoltre il numero di persone malnutrite: 735 milioni. Giunto alla diciottesima edizione, il Global Hunger Index presentato a fine novembre sottolinea che sono anzitutto le donne le principali vittime della fame acuta, sempre più sovraccaricate dal lavoro di assistenza non pagato.

Senza lavoro

Si legge nel rapporto: «In molti Paesi, i giovani, e in particolare le ragazze, hanno sempre più difficoltà a trovare un’occupazione dignitosa. Nel 2020 il tasso di disoccupazione giovanile globale era stimato al 18,4%, più del triplo di quello tra gli adulti. A livello globale, più di un giovane su cinque non lavora né è impegnato in studi o formazione. La pandemia ha causato la perdita di milioni di posti di lavoro, colpendo soprattutto i giovani. Inoltre, i lavoratori giovani hanno il doppio delle probabilità rispetto a quelli adulti di vivere in condizioni di estrema povertà, con meno di 1,90 dollari al giorno, e hanno molte più probabilità di essere impiegati in modo informale».

158,3 milioni di donne e ragazze potrebbero trovarsi nella condizione di povertà: 16 milioni in più rispetto a uomini e ragazzi.

Siamo ancora lontani dagli obiettivi previsti dall’Agenda 2030: sconfiggere la povertà e la fame, istruzione di qualità, parità di genere, lavoro dignitoso, per citare solo alcuni dei goals previsti.

La “policrisi”

«A ostacolare i progressi è la “policrisi”: l’impatto combinato di cambiamento climatico, conflitti e guerre – come la guerra fra Russia e Ucraina e la più recente fra Israele e Hamas –, crisi economiche, pandemie, che inasprisce le disuguaglianze socio-economiche e hanno rallentato o fermato i precedenti passi avanti», spiega Valeria Emmi, del Cesvi Networking and Advocacy Senior Specialist di Cesvi. «Nel 2023 la situazione climatica è in peggioramento e l’accesso al cibo resta precluso a molti. Le zone meno resilienti soffriranno contraccolpi su fame e nutrizione, ritrovandosi meno preparate ad affrontare future crisi».

 

Valeria Emmi, Networking and Advocacy Senior Specialist di Cesvi

 

Il rapporto Cesvi dice che «il 75% di chi vive in povertà nelle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza, essendo quindi particolarmente vulnerabile ai disastri. Inoltre, stima il World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Secondo la Banca mondiale, dal 2019 al 2022 il numero di persone che vivono in insicurezza alimentare è aumentato da 135 milioni a 345 milioni, sotto l’effetto combinato delle varie crisi ed emergenze».

Evidente la relazione fra disastri climatici, aumento delle temperature e la difficoltà nonché l’insicurezza nel produrre alimenti. Una questione cruciale anche nei tavoli della Cop 28.

A Dubai infatti sono stati annunciati finanziamenti per sostenere la sicurezza alimentare contrastando il cambiamento climatico (2.5 miliardi di dollari), e una Dichiarazione di 134 Paesi sul clima, agricoltura sostenibile, sistemi alimentari resilienti e azione per il clima. I firmatari si sono impegnati a includere agricoltura e sistemi alimentari nei rispettivi Piani di Adattamento Nazionale (NAP) e Contributi Determinati a livello Nazionale (NDC).

 

 

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Le aree dell’allarme fame

Le regioni con i dati peggiori sono Asia meridionale e Africa Subsahariana (27,0 per entrambe, ossia fame grave). Nel 2023 in nove Paesi la fame è allarmante: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi è grave. In 18 nazioni dal 2015 la fame è aumentata (situazioni moderate, gravi o allarmanti) e in altri 14 il calo è stato trascurabile (inferiore al 5%). Al ritmo attuale, 58 Paesi non raggiungeranno un “livello di fame basso” entro il 2030. A destare le maggiori preoccupazioni nel 2023 sono Afghanistan, Haiti, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen, oltre a Burkina Faso e Mali nel Sahel. In sette Paesi il miglioramento è superiore al 5% dal 2015: Bangladesh, Ciad, Gibuti, Mozambico, Nepal, Laos e Timor Est.

L’Africa è l’unica zona al mondo dove si prevede un aumento significativo del numero di persone denutrite: dai 282 milioni del 2022 a 298 milioni nel 2030.

Asia occidentale e Nord Africa hanno il terzo punteggio di GHI 2023 più alto (11,9, moderato), con i dati più elevati in Yemen e Siria (39,9 e 26,1), entrambi devastati da conflitti armati. Preoccupa il peggioramento in America Latina e Caraibi dal 2015, dove in nove Paesi la fame è aumentata: Argentina, Bolivia, Brasile, Costa Rica, Ecuador, Haiti, Paraguay, Trinidad e Tobago e Venezuela. Il costo medio di una dieta sana nella regione è il più alto al mondo, così come lo è la disuguaglianza di reddito, e il costo degli alimenti è in aumento. In Asia orientale e Sud-est asiatico si trova il secondo punteggio di GHI 2023 più basso: per Corea del Nord, Papua Nuova Guinea e Timor Est i livelli sono gravi, moderati in vari Paesi, bassi in Cina, Figi e Mongolia.

 

Un agricoltore nel sud est asiatico (Foto: Gianfranco Ferraro)

 

A ereditare sistemi insostenibili e iniqui saranno gli under 25, in particolare i ragazzi e le ragazze che vivono in Paesi a basso e medio reddito: Africa, Asia meridionale, Asia orientale. Circa un 1,2 miliardi di persone, il 16% della popolazione globale.

Insicurezza alimentare e paesi ricchi

«La sovrapposizione delle crisi sta intensificando le diseguaglianze sociali ed economiche, vanificando i progressi sulla fame, mentre il peso più grave è sui gruppi più vulnerabili, come donne e giovani», ha dichiarato Gloria Zavatta, presidente di Fondazione Cesvi. «I giovani devono avere un ruolo centrale nei processi decisionali, mentre il diritto al cibo va posto al centro delle politiche e dei progressi di governance dei sistemi alimentari. Nei prossimi anni è previsto che il mondo affronti un numero crescente di shock, provocati soprattutto dai cambiamenti climatici. L’efficacia della preparazione e della capacità di risposta alle catastrofi è destinata a diventare sempre più centrale dal punto di vista della sicurezza alimentare».

 

Gloria Zavatta, presidente Fondazione Cesvi

 

Tra il 2021 e il 2022 anche l’America settentrionale e l’Europa hanno registrato una leggera crescita dell’insicurezza alimentare moderata o grave.

Questa tendenza all’aumento è stata riscontrata in tutte le sottoregioni dell’Europa, ad eccezione dell’Europa meridionale. L’elevata inflazione interna dei prezzi alimentari non ha risparmiato né i Paesi a basso reddito né quelli ad alto reddito. E in Italia? Il nostro Paese è uno degli hot spot del cambiamento climatico, trovandosi nella regione del Mediterraneo. Il riscaldamento supera del 20% l’incremento medio globale, drasticamente diminuiscono le precipitazioni. Le previsioni dicono che nel 2050 nei giorni di forte pioggia l’intensità delle precipitazioni aumenterà in ogni scenario, mentre le notti tropicali in cui la temperatura non scende mai sotto i 20°C arriveranno fino a 18 in un anno. Questo mentre nel 2080 calerà fino a -40% la portata di acqua nei fiumi e nei prossimi decenni il rischio d’incendi salirà del 20%. I cambiamenti climatici aumentano anche la diseguaglianza economica tra le regioni: gli impatti più negativi sono maggiori nelle zone più povere, con indicatori di “uguaglianza” che peggiorano fino al 61% nel 2080.

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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