Il gruppo dei ricercatori che ha partecipato al convegno sulle api libere a Pantelleria

Il gruppo dei ricercatori che ha partecipato al convegno sulle api libere a Pantelleria (Foto: Parco nazionale Isola di Pantelleria)

Api selvatiche, anzi libere. Da Pantelleria la Carta internazionale per proteggerle

Cinquanta studiosi da 14 paesi di tutto il mondo si sono riuniti nella splendida isola durante un convegno promosso dall’ente parco. Paolo Fontana, fra i massimi esperti in materia, ci spiega il significato del documento che punta a proteggere tutti gli impollinatori

Proteggere le colonie libere di api mellifere e degli altri impollinatori. Sia per tutelare la biodiversità, di cui questi insetti sono un fattore determinante, sia per migliorare il corredo genetico e la capacità di resilienza delle arnie gestite dall’uomo.

È un mondo affascinante ma poco conosciuto quello delle api selvatiche.

O meglio delle api che vivono libere, come recita la “Dichiarazione di Pantelleria”: il documento presentato la scorsa settimana al termine del convegno che ha convocato su questa incantevole isola circa cinquanta studiosi da 14 paesi, vale a dire Italia, Serbia, Polonia, Francia, Grecia, Nigeria, Germania, Olanda, Austria, Tunisia, Irlanda, Francia, Belgio e Australia.

 

 

Cinque intensissime giornate di confronto intorno alle problematiche degli apoidei, organizzate dal Parco nazionale Isola di Pantelleria insieme all’Università di Palermo (Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali) e alla Fondazione Edmund Mach di Trento, che hanno permesso di scambiare esperienze sulle condizioni di questa varietà messa a dura prova, negli anni ’80, dall’arrivo in Europa del “Varroa destructor”, il parassita che sembrava quasi averne provocato l’estinzione. Ma anche d’inquadrare in maniera innovativa le relazioni fra gestione antropica degli sciami, popolazioni indipendenti e cura degli ecosistemi, con uno sguardo privilegiato verso il ruolo delle aree protette. Come spiega Paolo Fontana, entomologo e ricercatore presso la Fondazione Edmund Mach, presidente della World Biodiversity Association, autore di 240 pubblicazioni sulla sostenibilità degli agrosistemi e apicoltore da più di trent’anni:

 

Paolo Fontana, entomologo della fondazione Edmund Munch, tra i maggior esperti in materia di impollinatori
Paolo Fontana, entomologo della fondazione Edmund Munch, tra i maggior esperti in materia di impollinatori (Foto: Sapereambiente)

 

«Quando si parla di api si tende a fare un po’  di confusione. Con questo termine infatti si pensa in genere all’ape da miele, quella descritta da Linneo. Come api selvatiche invece si considerano tutte le altre. Ma bisogna tenere presente che l’ape mellifera è allo stesso tempo una specie allevata dall’uomo non domesticata, quindi selvatica. E che anche le api libere producono miele».

 

Fontana, il mondo degli impollinatori è particolarmente complesso e prezioso per i servizi ecosistemici che garantisce, alla base del ciclo vitale. Quali sono i fattori di rischio che lo minacciano?
Per gli impollinatori, vale a dire farfalle, coleotteri, mosche, api e bombi, i problemi sono più o meno gli stessi, vale a dire le alterazioni ambientali, la riduzione della flora su cui basano la loro vita, l’uso dei pesticidi,  i cambiamenti climatici. Questi fattori emergono con grande chiarezza ma ce n’è un altro più subdolo, meno evidente eppure non meno importante, vale a dire l’inquinamento genetico. Il convegno di Pantelleria ha messo in evidenza come questo fenomeno renda le api meno forti e meno efficaci sia nell’impollinazione della flora spontanea e delle specie agricole, sia nella produzione di mieli o di altri prodotti dell’apicoltura.

 

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Ci spieghi meglio, in cosa consiste e come avviene?
Consiste nello scambio genetico che può instaurarsi fra popolazioni che vivono naturalmente nell’ambiente e altre della stessa specie ma di una popolazione o sottospecie diversa che vi è stata portata dall’uomo. È un fenomeno riconosciuto anche per i bombi, di cui la specie allevata universalmente in Europa è il “bombus terrestris” che possiede oltre otto sottospecie diverse. In Italia abbiamo almeno due sottospecie endemiche, il Calabricus e il Sassaricus, ma il commercio di queste colonie, fondamentali per la produzione agricola, non tiene di solito conto delle loro origini. Queste popolazioni, infatti, vengono prodotte in paesi diversi dall’Italia e poi spedite in diverse zone d’Europa.

Per l’ape mellifera tutto questo è molto più facile e radicato nel tempo.

L’uomo ha deciso, magari con l’illusione di produrre di più o di avere sciami più tranquilli, di prendere le api dei Balcani e portarle in Italia oppure prendere quelle italiane e portarle in Francia e così via. Questo oggi si sta rivelando un problema piuttosto serio che però sarebbe molto facile risolvere perché riguarda un comportamento interno dell’apicoltura, di cui sarebbe utile che gli allevatori prendano coscienza.

 

Guarda il commento di Sonia Anelli, direttrice del Parco nazionale di Pantelleria, sul convegno dedicato alle api selvatiche

 

E circa gli altri fattori di rischio quali sarebbero le priorità su cui intervenire?
Innanzitutto ridurre o eliminare i pesticidi dall’armamentario utilizzato in agricoltura. Quest’ultima ha bisogno di strumenti per produrre il cibo ma questi strumenti, come è stato sottolineato anche dal confronto dei giorni scorsi, non devono provocare danni agli impollinatori e alla biodiversità. L’altro aspetto è garantire la conservazione di quel particolare equilibrio tra uomo e natura che l’agricoltura aveva creato e Pantelleria ne è un esempio splendido come altri ne abbiamo in Italia. Noi oggi si parla molto di piantare alberi, in realtà non ci rendiamo conto che stiamo perdendo uno degli ambienti più importanti per le api, vale a dire i prati polifiti, le praterie fiorite sulle colline, sulle pendici delle montagne.

Ovviamente dobbiamo mitigare gli effetti del cambiamento climatico e applicare noi per primi, per quanto riguarda l’apicoltura e l’allevamento degli altri apoidei, un criterio di rispetto delle popolazioni autoctone.

 

Anche le api selvatiche producono miele. Qui sopra un bombo
Anche le api selvatiche producono miele. Qui sopra un bombo (Foto: Pixabay)

 

Perché proteggere le api selvatiche, come si legge nel vostro documento, è utile anche all’apicoltura?
L’apicoltura è l’allevamento di una specie selvatica, un sistema di produzione animale, uno dei lavori più belli che si possa svolgere, tanto che a volte ci si dimentica della sua dimensione professionale, visto il fascino che esprime il mondo delle api. Nella Dichiarazione, elaborata attraverso un attento lavoro di gruppo, abbiamo volutamente usato il termine “api libere” al posto di “api selvatiche” proprio per sottolineare che anche le api allevate dagli apicoltori rimangono selvatiche, non sono domesticate. Abbiamo perciò voluto puntare l’attenzione sulla protezione delle api mellifere che vivono senza l’intervento degli apicoltori, come hanno sempre fatto in natura per milioni di anni, scambiando geni tra le diverse colonie grazie alla loro particolare maniera di riprodursi. Questo ha aiutato le api gestite a irrobustirsi, ad adattarsi alle condizioni locali e a conservare gli ecotipi dei diversi territori.

Proteggerle nel loro insieme è l’obiettivo del nostro progetto, anche a beneficio dell’apicoltura, per garantire un futuro a questa meravigliosa attività.

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Marco Fratoddi
Marco Fratoddi
Marco Fratoddi, giornalista professionista e formatore, è direttore responsabile di Sapereambiente, insegna Scrittura giornalistica al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Cassino con un corso sulla semiotica della notizia ambientale e le applicazioni giornalistiche dei nuovi media dal quale è nato il magazine studentesco Cassinogreen. Partecipa come direttore artistico all'organizzazione del Festival della virtù civica di Casale Monferrato (Al). Ha diretto dal 2005 al 2016 “La Nuova Ecologia”, il mensile di Legambiente, dove si è occupato a lungo di educazione ambientale e associazionismo di bambini, è stato fino al 2021 caporedattore del magazine Agricolturabio.info e fino al 2019 Direttore editoriale dell’Istituto per l’ambiente e l’educazione Scholé futuro-Weec network di Torino. Ha contribuito a fondare la “Federazione italiana media ambientali” di cui è divenuto segretario generale nel 2014. Fa parte di “Stati generali dell’innovazione” dove segue in particolare le tematiche ambientali. Fra le sue pubblicazioni: Salto di medium. Dinamiche della comunicazione urbana nella tarda modernità (in “L’arte dello spettatore”, Franco Angeli, 2008), Bolletta zero (Editori riuniti, 2012), A-Ambiente (in Alfabeto Grillo, Mimesis, 2014).

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