Mordi e fuggi era il motto (citazione di Mao Tze Tung) delle primissime brigate rosse, tra il 1969 e il 1972 a Milano (Foto: Flickr)

Mordi e fuggi, nelle menti di quei giovani brigatisti

Nell’ultimo romanzo di Alessandro Bertante, edito da Baldini+Castoldi, una stagione critica della nostra storia: quella della nascita delle Brigate rosse. Un racconto tra cronaca e fiction, attraverso le inquietudini e le contraddizioni dei protagonisti

«Durante quei mesi febbrili, le giornate passarono così in fretta da non riuscire a stargli dietro. La lotta non si fermava mai e mentre Anita e io ci perdevamo per la città, all’Università Statale tutto cambiava, evolveva e si radicalizzava. Nell’autunno del 1969, il paesaggio politico e culturale del movimento era già molto diverso dal Sessantotto della rivolta studentesca. L’atmosfera ribelle e spontanea dei primi mesi stava lasciando spazio a nuove forme di organizzazione».

Alessandro Bertante la lotta armata in Italia non l’ha vissuta, eppure con il suo ultimo romanzo “Mordi e fuggi” (Baldini+Castoldi, 2022) ha avvertito l’urgenza di sollevare nuovi interrogativi su quella generazione che si sentiva minacciata dallo Stato. Erano gli anni della strage di piazza Fontana, dei depistaggi, di anarchici defenestrati (il riferimento è a Giuseppe Pinelli). Pagine grigie della storia italiana raccontante attraverso le parole di Alberto Boscolo, studente in fuga dal mondo borghese.

 

Alessandro Bertante, scrittore, critico letterario, docente alla Nuova accademia di belle arti di Milano

 

In una Milano nebbiosa e depersonalizzante, il protagonista solidarizza con i cani sciolti, con la fabbrica: simbolo e specchio del conflitto sociale, punto nevralgico della lotta di classe. Con gli operai: unica avanguardia in grado di abolire lo stato di cose presente.

Lontano dal PCI e dalla sinistra parlamentare, Alberto cerca un nuovo spazio per dare senso ai suoi vent’anni, alla sua irrequietezza esistenziale, al suo materialismo ateo: «punto di partenza irrinunciabile per qualsiasi prospettiva rivoluzionaria».

Entra nel Collettivo Politico Metropolitano. Ad attrarlo saranno le parole di Renato Curcio, di Alberto Franceschini (il Mega), il fascino di Margherita Cagol, conosciuta come compagna Mara. E poi la presenza quasi costante di Giangiacomo Feltrinelli. Estremisti diversi nelle loro storie individuali ma accomunati dalla clandestinità, e quindi dal distacco da tutto e da tutti (genitori, amici, amori), sedotti dalla lotta armata: la loro unica ragione di vita. E quella scelta così radicale che ha portato alla nascita delle Brigate Rosse, Alessandro Bertante la narra con grande maestria grazie a una scrittura scarna ed essenziale.

baldini+castoldi Fb

 

Con questa nuova opera, a cinquant’anni dai fatti raccontati, l’autore sembra invitarci in modo implicito a contestualizzare le azioni “mordi e fuggi” dei brigatisti (così scrissero dopo il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, un dirigente della Sit-Siemens), ci fa entrare in contatto con i loro conflitti interiori e i loro paradossi ideologici. Eloquente un passaggio del romanzo: «Allora perché Mara e gli altri numerosi compagni cristiani delle BR questa salvezza terrena la rivendicavano con tanta forza? Non si rendevano conto del terribile paradosso? Con che coraggio questi uomini e donne cristiani pretendevano giustizia e uguaglianza, questi uomini e donne cristiani che davvero credevano nell’esistenza di un Dio che tutto controlla e giudica fino alla fine del mondo?

Spinti da quale presunzione questi stessi uomini e donne cristiani erano pronti a sparare e a uccidere in nome di un’umanità finalmente virtuosa che ci avrebbe condotto al paradiso in terra? Mi sembrava profondamente sbagliato».

Guarda la presentazione di Mordi e fuggi

 

Alessandro Bertante entra nella mente dei brigatisti, rivela la loro debolezza, i loro riferimenti culturali e ideologici (la rivolta metafisica di Camus, i Manoscritti economico-filosofici di Marx, la Scuola di Francoforte, Debord e Vaneigem). E poi sogni e brutalità. Ma Bertante scandaglia soprattutto il cuore di Alberto Boscolo, dove si racchiude l’entusiasmo per una nuova vita fatta di azioni violente che si fondono e confondono con la prassi rivoluzionaria:

«Comunista, certo: già solo ascoltare il suono della parola mi esaltava. Era vera e potente, proiettata verso un futuro radioso che sembrava vicinissimo e a portata di mano. E io avevo bisogno di futuro, avevo bisogno di sentirmi in grado di cambiare qualcosa, di non sprecare la vita come mio padre e tutti gli uomini come lui»

Ciononostante l’insoddisfazione ritorna presto. L’isolamento lo indurrà a riflettere sul mondo reale che stava trascurando, sulla società che stava mutando velocemente – l’imporsi di nuovi bisogni, quelli indotti dal consumismo, e la diffusione dell’eroina – fino a cambiare prospettiva. La rivoluzione armata diventa così sinonimo di scontro fratricida e non solo strumento della lotta di classe. Alberto è di fronte a un bivio: la guerra per l’uguaglianza e la giustizia o il presente. E sembra chiedere al lettore:

fino a che punto si possono perdere vite umane in nome di un mondo nuovo che non tutti desiderano?

Saperenetwork è...

Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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