Alexej Navalny. Il dissidente russo è morto a soli 47 anni mentre era in una colonia penale

Alexej Navalny. Il dissidente russo è morto a soli 47 anni mentre era in una colonia penale

Navalny, Assange e l’insostenibile ipocrisia occidentale

Mentre Europa e Occidente esprimono sdegno per la morte del dissidente russo, morto a soli 47 anni mentre era detenuto, è in ballo la vita di Julian Assange. L’Alta Corte britannica deve decidere sull’estradizione del fondatore di WikiLeaks negli Usa. Dove rischia una condanna di 175 anni

Quella della morte di Aleksej Navalny è una notizia che ha sconvolto tutte e tutti. Non può che essere sconvolgente la morte del dissidente russo a soli 47 anni in circostanze ancora non chiarite nella colonia penale IK-3 della regione artica russa di Yamalo-Nenets, tra giovedì 15 e venerdì 16 febbraio. I collaboratori di Navalny hanno reso noto che le autorità russe negano alla famiglia l’accesso alla sua salma da ben tre giorni, ufficialmente per permettere le indagini sulle cause della morte, come le stesse autorità, secondo la Bbc, hanno riferito alla madre del defunto leader dell’opposizione.

La causa della morte sarebbe ancora “indeterminata”, e le indagini andranno avanti per un periodo di tempo indefinito.

Nel frattempo il tabloid tedesco Bild ipotizza che Navalny sia morto poco prima della sua liberazione, che, sempre secondo il quotidiano del gruppo Springer, sarebbe stata concordata dal Cremlino con le autorità tedesche,  che in cambio avrebbero liberato “l’assassino di Tiergarten”, Vadim Krasikov , agente del Servizio di Sicurezza Federale (FSB) , condannato all’ergastolo per aver assassinato un dissidente georgiano nel parco più grande parco di Berlino nel 2019.

 

Guarda il video della Bbc su Navalny

 

Navalny, cronaca di una morte annunciata

Se sul fantomatico scambio di prigionieri, degno di un romanzo di John Le Carré, non esistono certezze, se non degli accenni vaghi fatti da Putin nella recente, famosa intervista a Tucker Carlson del 6 febbraio, resta la certezza che sul corpo di Navalny, come scrive Novaya Gazeta Europa, ci sono dei lividi, e che quel corpo non sia libero ora, nemmeno da morto, così come non lo era da vivo.

La salma resta prigioniera all’obitorio dell’ospedale di Salekhard, nonostante le richiesta del team e della famiglia del dissidente, affinché sia possibile un’autopsia indipendente.

 

Julian Assange, il Navalny d’Occidente

Perseguitato da oltre un decennio, avvelenato in aereo con novichok, finito in coma, salvato per un pelo in Germania e tornato coraggiosamente a casa per continuare la sua battaglia, Navalny finirà probabilmente negli annali di storia come il più celebre oppositore di Vladimir Putin, sebbene non sia il primo (non dimentichiamo Anna Politkovskaja, autrice, tra le altre cose, di inchieste che mettevano in luce la follia e lo stato delirante in cui versava l’apparato militare dello zar Vladimir) e, purtroppo è assai probabile che non sarà l’ultimo. L’Occidente libero si dice scioccato, sconvolto. E però il caso vuole che proprio in queste stesse ore di shock occidentale, siano in gioco, di nuovo, le sorti di Julian Assange. Martedì 20 e mercoledì 21 febbraio la High Court del Regno Unito sarà chiamata a decidere sull’appello del fondatore di WikiLeaks contro l’estradizione negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni in una prigione di massima sicurezza.

 

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L’estradizione e la Corte dei Diritti dell’Uomo

L’Alta Corte britannica si è già pronunciata due volte a favore dell’estradizione. Se dovesse confermarla anche stavolta, ad Assange rimarrebbe solo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Sempre che il Regno Unito, preso come quasi sempre dai problemi di salute e dalle usuali vicende sentimentali, affettive e personali dei Windsor, non lo estradi negli Usa prima che la Corte possa emettere le sue misure protettive.

Il neo re Carlo, che si dice tanto amico dell’ambiente, finora soprattutto a parole, non sembra avere invece a cuore la libertà di stampa e d’informazione, il diritto e dovere di cronaca, di informare e di essere informati, sugellato, tra gli altri, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

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Il diritto alla libertà di stampa nel “nuovo” Occidente

Le elezioni americane ed europee sono alle porte, ed entrambi i continenti virano sempre più verso una destra anti democratica, tra lo spettro del ritorno di Trump e i nuovi fascismi del Vecchio Continente, dall’Italia all’Ungheria e persino alla mitizzata Svezia del fu Olaf Palme.

Il caso Assange è l’elefante nella stanza. Fingiamo di non vederlo mentre ci sdegniamo (giustamente) per la morte di Navalny.

Ma oggi, in Occidente e nell’Europa patria dell’illuminismo, la libertà di stampa, di dissenso, di opposizione e di informazione è sotto attacco. Il caso di Ilaria Salis dovrebbe portare a una riflessione più ampia. Quando è iniziato tutto questo? E dove eravamo tutti? Intanto per Julian Assange è iniziato, da anni, il conto alla rovescia.

 

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Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.

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