lattoferrina laboratorio

Il boom della lattoferrina: a cosa serve davvero e quali sono i suoi limiti

Secondo un recente studio sperimentale dell’Università di Roma, la proteina avrebbe la capacità di diminuire le capacità del virus della Covid-19. È boom di vendite in tutto il Paese, nonostante le critiche degli esperti. La Federazione Nazionale degli ordini dei Medici invita a grande cautela e ricerche più approfondite

Naringenina, quercitina, glicerizzina e ora, la lattoferrina. In questi mesi in cui le nostre vite sono state stravolte dalla Sars-CoV-2, ogni giorno qualcuno posta sui social qualche studio per dimostrare che è stata trovata la presunta pallottola magica, la kryptonite del virus. Il tutto troppo spesso accompagnato dalle ormai tradizionali locuzioni del complottismo. È veramente così? Può un integratore fermare una pandemia? Può uno studio preliminare, condotto magari in vitro, essere portato a sostegno della pur legittima speranza che tutto quello che stiamo vivendo sia presto solo un brutto ricordo? Prendiamo allora l’ultima arrivata, la lattoferrina, e cerchiamo di rispondere.

 

La lattoferrina, che cos’è e a che serve

La lattoferrina è una proteina che si trova nel latte materno ma anche nella saliva, nelle mucose, nelle lacrime. Una delle sue caratteristiche è quella di legare il ferro, diminuendone la disponibilità per i batteri che quindi vedono bloccato il loro metabolismo, e di legarsi alla superficie di alcuni virus impedendone la penetrazione nelle cellule. Funge quindi da antibatterico e da antivirale e fa quindi parte di quelle difese immunitarie innate e non specifiche che sono la prima difesa dell’organismo all’aggressione esterna. Sebbene sia capace di modulare la risposta del sistema immunitario, non ci sono prove che lo stimoli o che lo renda più efficiente. In terapia, la lattoferrina è usata, ad esempio, in campo odontoiatrico per trattare le “black stain”, macchie nere che si presentano sui denti, soprattutto dei bambini, e dovuti proprio ad accumuli di solfuri ferrosi. La sua attività antinfiammatoria delle mucose ne fa un integratore spesso prescritto per coadiuvare le difese immunitarie intestinali del neonato prematuro.

Il boom degli ultimi giorni

Negli ultimi giorni la lattoferrina ha però nuova notorietà a causa di post diffusi sui social network che mostravano un servizio dello scorso luglio del Tgr Lazio, sull’avvio di uno studio sulla molecola da parte dell’Università di Tor Vergata e dell’Università La Sapienza e si riferiva ad un articolo preliminare, non sottoposto alle necessarie fasi di “revisione”, su una sperimentazione autorizzata a Roma sull’uso della lattoferrina per diminuire le capacità del virus causa della Covid-19 di dare un quadro sintomatico grave della malattia. Nel caso della Sars-CoV-2, l’ipotesi è che, attraverso le sue proprietà antinfiammatorie, la lattoferrina possa evitare quei processi infiammatori gravi che si vedono nei malati e aiutare a risolvere la malattia più velocemente.

 

Lo studio e i suoi limiti

La notizia è stata ripresa dai quotidiani nazionali, con conseguente aumento delle vendite di integratori e aumento delle prescrizioni mediche di lattoferrina. Ma lo studio da cui tutto il clamore è partito, ha suscitato subito le critiche degli esperti per le modalità con cui è stato condotto, sull’esiguo numero di soggetti che sono stati coinvolti (solo sessantaquattro) e sulle conclusioni a cui giunge. Il messaggio che poi è passato, anche attraverso i mezzi di comunicazione e sopratutto i social, è che la lattoferrina possa stimolare il sistema immunitario e impedire l’infezione o che possa essere efficace nella Covid-19. Niente di tutto ciò, allo stato attuale delle cose, corrisponde a verità. La lattoferrina ha mostrato sperimentalmente di impedire ad alcuni virus, come l’Hiv e il virus dell’herpes, di poter attaccare le cellule; tuttavia, queste osservazioni non si sono mai concretizzate in un uso terapeutico.

Laboratorio e organismo umano

La proteina potrebbe anche impedire la penetrazione del virus responsabile della Covid-19, ma su questo non vi è certezza sperimentale e l’unica evidenza è in vitro. Purtroppo, per quanto affascinante sia pensare che se una cosa funziona all’interno di un laboratorio funzionerà anche nell’organismo umano, non è affatto così. Le condizioni di ricerca in laboratorio sono completamente diverse da quelle che si hanno nell’organismo umano. È perciò indispensabile, perché si possa affermare che un prodotto “funziona”, che sia stato sottoposto a tutte le fasi previste per l’impiego nelle persone, sia sane sia affette da malattia, secondo protocolli rigorosi che garantiscano sicurezza ed efficacia. La sperimentazione condotta a Roma non soddisfa questi criteri di rigore scientifico. Nonostante ciò, la notizia è stata diffusa ed è iniziata la corsa ad accaparrarsi gli integratori, a totale carico del compratore.

La differenza tra integratori e farmaci

«Nessun integratore alimentare viene autorizzato con lo scopo di svolgere una precisa azione terapeutica, ad esempio un’azione antivirale», spiega il dottor Giuseppe Ventriglia, medico e docente al Master di Clinical Pharmacy dell’Università di Milano. Gli integratori alimentari, sottolinea il dottor Ventriglia, in effetti possono essere impiegati come “supporti” alle azioni fisiologiche e di mantenimento dello stato di benessere:

«Come tali non devono essere visti né come farmaci, né come sostituti di un sano stile di vita. Posizione ribadita dal nostro Istituto Superiore di Sanità il quale ha chiarito che non esistono evidenze scientifiche che gli integratori possano essere impiegati con finalità di prevenzione delle malattie».

 

Giuseppe Ventriglia è socio fondatore della Società italiana di medicina generale
Il dottor Giuseppe Ventriglia, medico e docente al Master di Clinical Pharmacy dell’Università di Milano

 

Questo perché, continua Ventriglia, le sostanze di varia natura in essi contenute (vitamine, sali minerali, fitocomplessi) sono utili per aiutare l’organismo a mantenere lo stato di salute, riequilibrarne le funzioni:

«Ma questo è diverso dal sostenere che si possano usare con gli stessi scopi di un farmaco. Una riflessione da fare è piuttosto sull’origine naturale o no delle sostanze contenute negli integratori».

La cautela della Federazione Nazionale di Medici

Sulla possibilità che la lattoferrina possa prevenire la Sars-Cov2, il medico è molto cauto: «Esiste un bel dibattito sull’impiego di questa sostanza della quale sono note alcune azioni benefiche osservate prevalentemente in laboratorio. Ma da qui a proporne l’impiego per prevenire l’infezione da SARS-Cov2 il passo è lungo». È emblematico, d’altronde, sottolinea Ventriglia, quanto si può leggere a questo proposito sul portale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici:

«È necessaria una grande cautela nella valutazione dei risultati osservati che sono sicuramente interessanti ma che vanno considerati come preliminari e, principalmente, da confermare con ricerche approfondite e condotte sull’uomo con rigore scientifico assoluto, finalizzato a dimostrare il valore terapeutico della sostanza nonché la sua sicurezza, anche per non esporre il cittadino a una spesa potenzialmente non giustificata».

Tra scienza e prudenza

Insomma, molta cautela. Anche perché la lattoferrina, con un uso non controllato o a dosi eccessive, può causare diarrea o costipazione, eruzioni cutanee e dolore addominale. Mancano poi i dati sulla sicurezza di un suo uso per lunghi periodi e di interazione con altri farmaci, perciò se ne consiglia l’uso sotto controllo medico. Al momento, gli unici farmaci che sono utili nel controllare i sintomi gravi della Covid-19 sono quelli usati in ambito ospedaliero (antinfiammatori come desametasone, anticoagulanti come l’enoxaparina e antivirali come il remdesivir). Ciò che ognuno di noi può fare per evitare il contagio è rispettare le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Ministero della Salute:

usare regolarmente la mascherina, mantenere il distanziamento fisico tra le persone e igienizzare le mani. Lo sforzo della scienza è tutto diretto alla risoluzione della pandemia, il nostro deve essere quello di agire con prudenza, fidarsi della comunicazione istituzionale e non lasciarsi illudere da chi dà false speranze e fa cattiva informazione.

Guarda il video del Ministero della Salute per evitare il contagio da Covid19

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Maria Luisa Vitale
Maria Luisa Vitale
Calabrese di nascita ma, ormai da dieci anni, umbra di adozione ho deciso di integrare la mia laurea in Farmacia con il “Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza” dell’Università di Ferrara. Arrivata alla comunicazione attraverso il terzo settore, ho iniziato a scrivere di scienza e a sperimentare attraverso i social network nuove forme di divulgazione. Appassionata lettrice di saggistica scientifica, amo passeggiare per i boschi e curare il mio piccolo orto di piante aromatiche.

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