Landgrabbing

La terra divorata e i suoi padroni nel nuovo rapporto Focsiv

Ogni anno se ne vanno settantanove milioni di ettari di terra fertile, accaparrati per interessi commerciali. Nel 2020 ci sono stati circa 2100 contratti, 8 milioni di ettari in più rispetto al 2019. Tra commercio internazionale, monocolture, sfruttamento delle risorse, il nuovo rapporto della Ong sul land grabbing

 

Continua la corsa alla terra. Settantanove milioni di ettari di terra fertile nel mondo sono oggetto di interesse commerciale, per circa 2100 contratti. Rispetto al 2019, la dimensione dei contratti conclusi è aumentata di 8 milioni di ettari. C’è una banca dati che aggiorna ogni mese le informazioni su contratti di acquisto o affitto della terra da parte di grandi imprese, società finanziarie e Stati. Ce lo racconta il rapporto I padroni della Terra di Focsiv, recentemente presentato, che analizza i dati estratti dalla piattaforma Land Matrix a marzo scorso, ma non solo.

 

Land grabbing e pandemia

Il rapporto sull’accaparramento della terra e le sue conseguenze sui diritti umani, sull’ambiente e sulle migrazioni, a cura di Andrea Stocchiero, restituisce, in 200 pagine e con dovizia di particolari, il triste quadro del land grabbing nel 2020. Un anno difficile nel mondo intero, all’insegna della pandemia da Covid 19 e della sua scia di morti. Più difficile ancora laddove le comunità locali non vengono tutelate nella guerra iniqua dello sfruttamento dei territori da parte di multinazionali, Stati e finanza, che, spesso e volentieri, sfocia nello sfratto delle popolazioni indigene e delle loro attività. La parola chiave è estrattivismo.

 

andrea stocchiero
Andrea Stocchiero, responsabile delle attività di policy e advocacy della Focsiv

 

L’estrattivismo che uccide

Amazzonia, Repubblica Democratica del Congo, Perù, Camerun, Angola sono i “casi paese” raccontati nella prima parte del documento e che vanno ad aggiungersi a quelli delle due precedenti edizioni; la seconda parte propone una visione complessiva e un’analisi del land grabbing e del suo legame con il commercio internazionale, con proposte di politiche e strumenti per l’azione. Già dalla prima pagina il rapporto dichiara le proprie intenzioni: è dedicato

«Ai 472 leader indigeni che sono stati uccisi dal 2017 al 2019 per essersi opposti alla devastazione e all’inquinamento su grande scala di foreste, terra e acqua, lottando in difesa del Pianeta e del diritto di ciascuno a vivere in un ambiente salubre e sostenibile. Il loro sacrificio deve mobilitarci con più vigore per la difesa dei diritti umani e dell’ambiente».

Profitto e consumo

L’estrattivismo è il modello economico vigente nel mondo, che cerca di sfruttare al massimo le risorse della terra per fare profitto e indurre e soddisfare il consumo nella parte del pianeta ricca ed emergente. Un fenomeno, nel quadro della competizione globale per risorse naturali scarse, che, chiarisce Stocchiero nell’introdurre il rapporto:

«Produce scarti, rifiuti umani e materiali, inquinamenti, veleni ed emissioni di gas serra, terre e acque morte. Pregiudicando il benessere delle nuove generazioni».

Monocolture, perdita di biodiversità e virus

Molti degli investimenti su grandi appezzamenti per la produzione di monocolture per l’alimentazione umana e animale, di biocarburanti, per piantagioni e taglio di foreste, per l’estrazione mineraria, per progetti industriali e turistici, per l’urbanizzazione, infatti, non sono sostenibili: escludono le popolazioni indigene, degradano il suolo, fanno perdere biodiversità e contribuiscono al riscaldamento del pianeta, creando le condizioni per la mutazione e diffusione di virus che possono sfociare in pandemie, come quella del coronavirus.

Investitori e target

Anche per il 2020, i grandi paesi investitori si confermano la Cina, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Svizzera, il Canada e la Russia, che concentrano oltre 60 milioni di ettari di terra. I principali paesi obiettivo sono il Perù, la stessa Russia, la Repubblica Democratica del Congo, l’Ucraina e il Brasile, per oltre 50 milioni di ettari. Alcuni paesi sono contemporaneamente investitori e target perché molti contratti sono di imprese nazionali: ad esempio imprenditori brasiliani che investono nel loro paese appropriandosi di nuovi grandi appezzamenti. Come avviene anche in Russia, Malesia e Indonesia.

 

L’Amazzonia e le altre terre depredate

Il capitolo sull’Amazzonia si concentra sulle speculazioni di alcune grandi società finanziarie e petrolifere che hanno provocato la resistenza dei popoli indigeni. Quello sulla Repubblica Democratica del Congo racconta l’impatto della filiera del cobalto sullo sfruttamento del territorio e delle popolazioni locali, e in particolare dei bambini. Le conseguenze dell’estrazione di minerali e di petrolio in termini di inquinamento e deprivazione delle economie e delle comunità locali e di conflitti sono al centro anche del caso del Perù. Il capitolo sul Camerun fa il punto sulle operazioni di land grabbing con alcuni approfondimenti specifici; quello sull’Angola analizza infine il rapporto tra gli investimenti in megaprogetti e l’agricoltura locale di piccola scala.

 

Leggi anche
Il saccheggio dell'Amazzonia. La lettera di Nemonte Nenquimo

L’Europa divora terra

Nel ragionare di “commodities” e del nesso tra commercio internazionale e land grabbing, non dimentichiamo che l’Europa è il secondo più grande consumatore di terra propria e altrui al mondo dopo gli Stati Uniti: consuma circa 640 milioni di ettari all’anno, un’area equivalente a 1,5 volte la sua stessa dimensione, secondo i dati di Friends of the Earth Europe. Ed è il continente più dipendente dalle terre cosiddette importate, con circa il 58% percento delle terre consumate localizzate all’estero, principalmente in Cina, nella Federazione Russa, in Brasile e Argentina, per mantenere i suoi livelli di consumo, soprattutto per materie prime come soia, biocarburanti, olio di palma, zucchero e cotone. Il cittadino europeo medio consuma 1,3 ettari di terra all’anno, più del triplo della media del cittadino cinese o indiano e più di sei volte la media del Bangladesh.

 

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Alice Scialoja
Alice Scialoja
Alice Scialoja, giornalista, lavora presso l'ufficio stampa di Legambiente e collabora con La Stampa e con La Nuova Ecologia. Esperta di temi ambientali, si occupa di questioni sociali, in particolare di accoglienza. Ha pubblicato il libro A Lampedusa (Infinito edizioni, 2010) con Fabio Sanfilippo, e i testi Neither roof nor law e Lampedusa Chapter two nel libro Mare Morto di Detier Huber ( Kerber Verlag, 2011). È laureata in Lettere, vive a Roma.

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