Cillian Murphy, protagonista di Oppenheimer di Chris Nolan

Oppenheimer, l’epico desiderio (distruttivo) di varcare i limiti

Tra i film più attesi dell’anno, il lungometraggio firmato Christopher Nolan dedicato al “padre della bomba atomica” è il trionfatore della 96esima edizione degli Academy Award. Sette Oscar su tredici nomination, tra cui il premio per il miglior film, la miglior regia, il miglior attore protagonista e il miglior attore non protagonista

Il paragone con Prometeo, il titano che ruba il fuoco agli dei per farne dono agli esseri umani, è tanto calzante da apparire banale nel suo essere posto come epigrafe a Oppenheimer, il nuovo film scritto e diretto da Christopher Nolan. Basato sul libro Oppenheimer – Trionfo e caduta dell’inventore della bomba atomica (Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer) di Kai Bird e Martin J.Sherwin, premio Pulitzer nel 2006 ed edito in Italia da Garzanti, il lungometraggio (che sfora le oltre due ore a cui il regista britannico ci ha abituato negli ultimi anni, arrivando addirittura a 180 minuti) racconta la storia del fisico statunitense J. Robert Oppenheimer e dell’invenzione della bomba atomica.

 

Christopher Nolan sul set di OPPENHEIMER

 

Il film, girato in una combinazione di IMAX 65mm e un grande formato 65mm di pellicola, incluse, per la prima volta nella storia, sezioni in IMAX realizzate in bianco e nero, è un affascinante e angosciante viaggio che difficilmente lascerà il pubblico indifferente se sceglierà di intraprenderlo su grande schermo. Si legge nelle note di regia:

«Ho voluto condurre il pubblico nelle stanze in cui tutto è avvenuto, come se fosse stato lì, a conversare con gli scienziati in questi momenti importanti».

Il prodigio della fisica

Considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e un autentico prodigio della fisica, Robert Oppenheimer, dopo una carriera accademica in vari centri di fisica europei, ritornato in patria nel 1929, aveva diviso i suoi impegni fra l’Università di Berkeley e il California Institute of Technology (il Caltech di Pasadena), distinguendosi sia come ricercatore sia come insegnante di fisica teorica. Nel 1939, era stato chiamato a guidare il Progetto Manhattan, un programma di ricerca e sviluppo in ambito militare per la realizzazione di ordigni nucleari. Iniziata con poche risorse, l’impresa crebbe fino a occupare più di 130mila persone e costare quasi 2 miliardi di dollari (pari a 39 miliardi di oggi): nel 1945 il successo del test portò alla creazione della bomba atomica.

 

 

Il 6 agosto di quell’anno, la prima delle due bombe, Little Boy, fu lanciata a Hiroshima, provocando sul colpo più di 60mila morti, saliti poi a circa 100mila nei mesi successivi, a causa del fallout radioattivo. Tre giorni dopo, lo sgancio della bomba Fat Man su Nagasaki causò un numero di vittime dirette stimato fra le 150 e le 220mila persone, quasi esclusivamente civili. Di fronte all’esito devastante dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki, “il distruttore dei mondi” (secondo un celebre aneddoto, il fisico subito dopo il Trinity Test, durante il quale, ad Alamogordo nel New Mexico, era scoppiata la prima bomba nucleare al plutonio della storia, aveva citato un verso della Bhagavad Gita, «Sono diventato la Morte, il distruttore dei mondi») avanzò la proposta di un controllo internazionale dei materiali nucleari e si oppose con fermezza alla creazione della bomba all’idrogeno. Posizioni radicali mal viste dal governo che lo portarono a essere coinvolto, nel 1954, in un’ inchiesta che compromise in modo profondo la sua reputazione.

Due punti di vista

«Che vi piaccia o meno, J. Robert Oppenheimer è la persona più importante che sia mai vissuta. Ha modellato il mondo in cui viviamo, nel bene o nel male. E la sua storia deve essere vista per essere compresa», ha spiegato ancora Nolan.

Da qui la scelta di raccontare la storia lungo due direttrici. Quella dello stesso Oppenheimer, le cui scene sono tutte a colori (e scritte in prima persona, scelta non convenzionale per una sceneggiatura, così da sottolineare ancora di più quanto gli eventi siano osservati da dietro le spalle del protagonista), con alcune occasionali incursioni evocative e surreali che potessero esprimere il suo mondo interiore. E quella di Lewis Strauss, membro fondatore della Commissione per l’Energia Atomica (AEC) degli Stati Uniti nel 1947, ruolo chiave nel modellare la politica nucleare dopo la guerra, girata invece in bianco e nero. Eroe e antieroe (o villain, nella terminologia manichea dei film di cassetta hollywoodiani) con i volti di Cillian Murphy (apparso in 5 film di Nolan, Trilogia del Cavaliere Oscuro – The Dark Knight Trilogy, Inception, Dunkirk) e Robert Downey Jr..

 

Robert Downey Jr è Lewis Strauss

 

I due guidano un universo filmico popolato di una dozzina fra i personaggi più importanti del Ventesimo secolo, da Truman (Gary Oldman) ad Albert Einstein (Tom Conti), il Nobel Niels Bohr (Kenneth Branagh), Ernest Lawrence (Josh Hartnett), l’inventore della bomba all’idrogeno Edward Teller (Benny Safdie), il “nostro” Enrico Fermi (Danny Deferrari), il generale Leslie Groves (Matt Damon). Due i personaggi femminili, la moglie di Oppenheimer, la biologa e botanica Kitty Puening (Emily Blunt), e l’amante, la psichiatra Jean Tatlock (Florence Pugh).

 

Tom Conti è Albert Einstein e Cillian Murphy è J. Robert Oppenheimer

Ricostruzioni senza digitale

Fondamentale anche la decisione di Nolan di non avvalersi della CGI per creare l’esplosione atomica: «La nostra sfida: trovare soluzioni analogiche per arrivare a quel livello di orribile bellezza del Test Trinity». E molte di quelle soluzioni messe a punto dai responsabili degli effetti speciali, Scott Fisher (che con Nolan ha vinto due Oscar, per Interstellar e per Tenet) e Andrew Jackson (un Oscar per Tenet), insieme all’autore della fotografia Hoyte van Hoytema (che ha già curato i precedenti film Interstellar, Tenet e Dunkirk, per il quale ha anche ricevuto una nomination agli Oscar), per produrre una versione cinematografica dell’esplosione atomica, sono state utilizzate anche per ricreare il mondo interiore di Oppenheimer. Impossibile non citare il lavoro della scenografa, Ruth De Jong, che ha ricostruito gli esterni di Los Alamos a Ghost Ranch, un’area di 8500 ettari, nell’area settentrionale del New Mexico, e buona parte degli interni dal vero, scelta che ha permesso di girare alcune scene nella casa in cui ha vissuto la famiglia Oppenheimer. I costumi, invece, si devono a Ellen Mirojnick.

Il controverso binomio scienza e potere

Vale la pena trascorrere tre ore del proprio tempo al cinema per vedere Oppenheimer? Al netto di qualche lungaggine, dovuta soprattutto alla pessima tendenza a spiegare tutto al pubblico (mai fu abbastanza ricordato, soprattutto in sala di montaggio, il monito di Albert Camus: «l’opera d’arte è nel non detto»), e di una colonna sonora (a firma di Ludwig Göranssonstrabordante, tutta volta – di nuovo – a istruire sulle emozioni da provare di scena in scena, di dialogo in dialogo, il film è un’esperienza che chi ama il cinema non dovrebbe perdere, per spettacolarità delle immagini e tema trattato. Difficile non trovare una tragica risonanza con l’attualità, il perenne conflitto tra scienza e potere, l’insaziabile desiderio umano di varcare i limiti imposti dalla natura («È male sciogliere i vincoli che dio ci impose», tuonava Robert Louis Stevenson nell’esergo di un altro caposaldo della letteratura occidentale incentrata su uno sforzo titanico, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde), lo spettro della fine del mondo, a opera di quegli esseri che si ritengono i più intelligenti sulla Terra.

 

 

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Resta vivo il dubbio che il convitato di pietra lungo l’intero film sia l’italiano Ettore Majorana nella lettura che ne ha dato Leonardo Sciascia (nell’imprescindibile La scomparsa di Majorana): messo di fronte ai possibili esiti della fissione nucleare scomparve, facendo perdere completamente le sue tracce e interrompendo gli esperimenti iniziati con i ragazzi di via Panisperna. E chissà se è un caso che un giovane Oppenheimer, in una delle prime scene del film, legga La terra desolata di T.S. Eliot, che proprio Sciascia cita: «In una manciata di polvere ti mostrerò lo spavento dice il poeta. E questo spavento crediamo abbia visto Majorana in una manciata di atomi».

Il fisico americano, invece, porterà a termine le ricerche e spingerà il bottone rosso, in nome di un’utopica fine di tutte le guerre.

Nolan, però, non si tuffa negli abissi, ma rimane in superficie dove è più facile venga seguito: costato col suo film 100 milioni di dollari deve tener fede alla sua fama (i suoi film hanno guadagnato più di 5 miliardi al botteghino mondiale e sono stati premiati con 11 Premi Oscar e 36 nomination, incluse due per Miglior Film) e vedersela al box office con la Barbie di Greta Gerwig (che il primo giorno di programmazione ha già guadagnato 22,3 milioni di dollari contro i 10,5 milioni di Oppenheimer). Comunque vada la sfida dei numeri, a vincere speriamo sia un ritorno in massa in sala, anche in Italia, dove il film esce, distribuito da Universal Pictures, il 23 agosto.

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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