Gli spiriti 3

Gli spiriti dell’Isola, se l’arte divide gli affetti

Conflitti e smarrimenti, con i toni della commedia, nel film diretto da Martin McDonagh, con Colin Farrell e Brendan Gleeson, ambientato in un’isola al largo della costa orientale dell’Irlanda. Otto le nomination agli Oscar. Sarà in sala dal 2 febbraio

Gli spiriti dell’isola a cui fa riferimento il titolo italiano del bel film diretto da Martin McDonagh (a cui si deve tra gli altri, il premiatissimo Tre Manifesti a Ebbing, Missourisono le Banshees, creature che secondo le leggende gaeliche si aggirano attorno a paludi e fiumi, nelle sorgenti o nelle colline irlandesi, e si mostrano solo agli esseri umani in procinto di morire. L’isola è, invece, l’immaginaria Inisherin (da qui il titolo originale The Banshees of Inisherin), a largo della costa orientale, di fronte a Galway, un’inventata quarta isola di Aran.

 

il regista Mcdonagh
Il regista Martin McDonagh nel corso della sua carriera si è aggiudicato un Premio Oscar, due Golden Globe e quattro British Academy Film Awards

 

Il film è stato girato tra Inis Mór, l’isola più grande delle tre, famosa per i chilometri di mura in pietra e calcare fessurato che si estendono fino alle enormi scogliere a ovest, e la montagnosa Achill Island, nella contea Mayo, collegata con la terraferma dal Michael Davitt Bridge, e facile da raggiungere per la troupe. Catturare la bellezza dell’Irlanda, Paese d’origine dei suoi genitori, era uno degli obiettivi di McDonagh:

«La storia è in parte cupa, ma volevamo che le location e gli elementi visivi fossero il più possibile cinematografici», ha spiegato il regista, che in questa parte d’Europa ha ambientato anche le due opere teatrali Lo storpio di Inishmaan del 1996 e Il tenente di Inishmore, del 2001.

Maestosità di una terra che anche grazie al lavoro di Ben Davis, autore della fotografia, è tra gli aspetti più affascinati de Gli spiriti dell’isola. La natura, d’altronde, è una delle grandi protagoniste, con l’Oceano Atlantico da una parte e la costa irlandese dall’altra, da dove risuona in lontananza il fragore della guerra civile (il film è ambientato nel 1923, durante il conflitto armato seguito alla guerra d’indipendenza dopo l’istituzione dello Stato Libero d’Irlanda, entità indipendente dal Regno Unito ma all’interno dell’Impero britannico).

 

Gli spiriti dell'Isola foto pub
Il protagonista del film Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell) e l’amico Colm (Brendan Gleeson).

 

«Buona fortuna a tutti quanti, per qualunque motivo stiate combattendo», dice Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell), il mite protagonista che divide la sua vita tra l’appuntamento quotidiano al pub con l’amico Colm (Brendan Gleeson) e i suoi doveri nei confronti della sua asinella Jenny, un piccolo pony, due mucche e un vitello, gli animali della piccola fattoria in cui vive con la sorella Siobhán: una vita spensierata destinata a finire il giorno che Colm decide di dedicare l’esistenza a coltivare il proprio amore per la musica senza perdere più tempo con Pádraic. L’amico di sempre non gli va più a genio.

La commedia dell’assurdo scritta da McDonagh inizia qui: dalla banale quanto insensata rottura tra due amici. E da qui in poi saranno tanti i momenti che strapperanno più di una risata, malgrado l’incombente senso di tragedia che sovrasta l’intera comunità di Inisherin.

Il film è un gioiello, per immagini e per dialoghi, grazie a una squadra di primo livello (tra cui Mark Tildesley, lo scenografo, e Eimer Ní Mhaoldomhnaigh, la costumista) e a interpreti in stato di grazia, dai due protagonisti ai comprimari (Barry Keoghan, che veste i panni di Dominic, lo scemo del villaggio, Kerry Condon, la sorella Siobhán, Gary Lydon, il poliziotto Peadar Kearney, e Sheila Flitton, l’inquietante signora McCormick), fino all’ultima delle comparse. Non a caso, a Venezia è valso la Coppa Volpi a Farrell e il Premio Osella per la migliore sceneggiatura a McDonagh, e ha iniziato la sua corsa verso la Notte degli Oscar con tre Golden Globes (su 8 nomination), al miglior film commedia o musicale, al miglior attore (sempre a Farrell) e alla migliore sceneggiatura.

 

Gli spiriti dell'isola foto
Barry Keoghan nei panni di Dominic, lo scemo del villaggio, e Kerry Condon, che interpreta Siobhán, sorella del protagonista

 

Della commedia, però, ci sono solo i toni perché, come sempre nei film di McDonagh, la sofferenza della condizione umana, solo in parte pacificata dall’idillio con la flora e con la fauna circostanti, è l’ineluttabile convitata di pietra. Colm decide di abbandonare tutto per comporre la sua canzone, The Banshees of Inisherin, allontanando Pádraic e spingendolo a compiere atti di crudeltà e bassezza che mai avrebbe compiuto. Si chiede ancora il regista:

«Vi dedicate totalmente alla vostra vita di artisti, trascurando amici, le persone amate o la famiglia? Il lavoro è la cosa fondamentale? Importa se qualcuno soffre nel processo? È una domanda a cui né io né il film forniamo una risposta. Non ritengo che per fare arte, anche quella cupa, ci si debba autoflagellare o trasformarsi in un individuo tenebroso o odioso. Penso che il film esplori questo enigma interessante».

Il senso del fare arte è insomma la domanda ultima de Gli spiriti dell’isola, una domanda che con tutte altre conseguenze si è posto anche Steven Spielberg nel più intimo dei suoi film, il recente The Fabelmans. Lì, lo zio Boris (uno strepitoso Judd Hirsch), ex domatore di leoni con un passato nell’industria cinematografica, mette in guardia il giovane Sam, aspirante cineasta, sui dolori che derivano dall’essere un artista e di come questo comporti l’allontanarsi da tutti e da tutto ciò che si conosce e sia ama, l’avere pochi soldi e il dover scegliere tra gli affetti e l’arte.

 

Guarda il trailer del film Gli Spiriti dell’Isola

 

 

Eppure la posizione di McDonagh par essere ancora più radicale di quella di Spielberg: l’arte non è solo una droga di cui non si può fare a meno una volta che ci si è abbeverati alla sua fonte, l’arte, sembra dire il regista inglese, può essere un veleno che si instilla nelle persone costringendo alle azioni più irragionevoli e meschine. E la Bellezza, anche quella più incontaminata, appare davvero inadeguata a salvare il mondo.

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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