Investire in infrastrutture e in tutela del territorio consentirebbe di risparmiare i soldi devoluti alla gestione delle emergenze (nella foto, area del ravennate alluvionata, maggio 2023)

Chi più spende meno spende (ci salveranno i detti popolari?)

Investire nella salvaguardia del territorio e nella prevenzione non paga a livello elettorale, eppure nel medio termine porterebbe, oltre che a proteggere vite umane, a risparmiare i soldi spesi nelle emergenze. Una riflessione guidata da (il buon senso dei) proverbi

Mi piace riprendere detti popolari soprattutto quando essi, a guardare bene, forniscono una chiave di lettura della realtà e dei comportamenti da tenere. La frase “chi più spende meno spende” è controintuitiva, ma profonda. Mia madre la usava spesso, riferendosi al fatto che fosse più opportuno comprare un prodotto di qualità, più costoso, ma con maggior durata e miglior riuscita piuttosto che un prodotto più economico e meno durevole. È un detto certamente applicabile a diversi contesti, ma adesso vorrei riferirlo ai disastri che stanno avvenendo in Emilia-Romagna. Purtroppo, si sono verificati a distanza di quindici giorni due eventi “eccezionali” come quantità di pioggia, che in passato hanno avuto cadenze trentennali, e le popolazioni hanno pagato un prezzo molto alto.

 

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Ci si può domandare, a fronte di questi eventi, cosa si sarebbe potuto fare per mitigarne le conseguenze. Applicando il detto popolare alla gestione del territorio, ciò significa che se una comunità, una regione, lo stato, in un periodo in cui non c’è nessuna emergenza e quindi sembra che non sia necessario fare nulla, investono in modo oculato nelle infrastrutture, nella tutela del territorio, nei servizi, i soldi investiti danno un migliore “rapporto qualità-prezzo” a lungo termine, e ci evitano di rincorrere le emergenze, e realizzando un risparmio già a medio termine.

Investire per risparmiare

Questa è una cosa banale, ma insisto perché sembra che questo pensiero non sfiori i nostri governanti. Avere terreni al livello o sotto il livello dei fiumi non dovrebbe fare dormire sonni tranquille né a chi abita lì né a chi il territorio lo deve curare. Soprattutto quando la cementificazione spinta del territorio con l’impermeabilizzazione del terreno ha limitato la capacità di assorbimento del suolo.

 

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Qui vediamo un, forse insospettato, effetto collaterale dei cambiamenti climatici: finora, in pianura padana, sì stavano facendo le danze della pioggia, data la grande siccità, ci si stava preparando alle autobotti, alla dissalazione dell’acqua di mare e così via ma non alla pioggia, torrenziale.

Non si è pensato che i risvolti dei cambiamenti climatici, in termini di eventi estremi, sono da un lato la siccità e dall’altro le alluvioni.

Purtroppo, “Del senno di poi son piene le fosse”, ma forse questo ancora non basta. Infatti, data la tendenza al negazionismo e allo scaricabarile delle istituzioni (“Il lupo perde il pelo ma non il vizio”), si dirà che «Piogge forti si sono sempre verificate» e che quindi questo non autorizza a parlare di cambiamenti climatici, né a prendere misure urgenti. Meglio perdere tempo a fare leggi che puniscono i giovani di Friday For Future o di Ultima generazione perché imbrattano i monumenti per richiamare all’urgenza dell’azione. In questo caso, vale il detto: “Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito, non la luna”.

 

Forse sarebbe il caso di chiedere come va agli abitanti del Pakistan dove da giugno ad agosto del 2022 le piogge monsoniche hanno sommerso un terzo del paese. 33 milioni le persone coinvolte, con almeno 1300 morti, e che ancora adesso si trovano con problemi di campi allagati, inquinamento delle falde acquifere, malattie, raccolti distrutti e penuria alimentare. Purtroppo, come in Emilia-Romagna, “Piove sul bagnato”.

Manutenzione è prevenzione

Purtroppo, bisogna aggiungere che gli italiani non hanno una cultura della manutenzione, meno che mai del territorio. L’avevano i nostri nonni ma, dato che adesso le campagne e le montagne si stanno spopolando, nessuno si occupa più di gestire il territorio in maniera puntuale e continuativa come facevano loro. Si preferiscono le inaugurazioni in pompa magna, che si tratti di un’autostrada, o di un ponte o di un viadotto (mi pare che queste siano le strutture preferite) invece di stanziare soldi per gestire e mantenere quello che si è, talora egregiamente, realizzato.

Il ponte di Genova insegna. In sintesi, la prevenzione non si fa perché non paga elettoralmente, trascurando il saggio detto che “Prevenire è meglio che curare”.

Questo detto è applicabile anche alla pandemia, quando ci eravamo detti che la prevenzione, cioè i vaccini, era meglio che prendersi il covid, specie quello dei primi tempi. Ma anche lì, l’ideologia è più forte dello spirito di sopravvivenza: legioni di No Vax hanno dato il loro contributo di morti sull’altare della libertà di scelta. E adesso un recente sondaggio dice che la gente, passata la paura, da favorevole ai vaccini per il 92 % è diventata favorevole solo per il 76%.

 

Il ponte Morandi di Genova dopo il crollo (14 agosto 2018)

 

Ma dice Einstein «È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio» o anche, senza scomodare il fisico, possiamo dire che “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. Per cui: “Errare è umano, perseverare diabolico”. Purtroppo, non “diamo un colpo d’ala” per trovare soluzioni che escano dai confini concettuali che ci siamo autoimposti, “incartandoci” in pseudo soluzioni, anche perché secondo Einstein

«Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati».

Bisogna rendersi conto che avviarsi a un futuro più sostenibile implica un po’ di fantasia, oltre che molti sacrifici e investimenti costosi nel breve termine, con il vantaggio che minori consumi e l’uso di fonti di energia rinnovabile sia riducono i costi energetici a lungo termine sia forniscono benefici ambientali, in termini di inquinamento e emissioni climalteranti. E tutti gli scienziati (anzi non tutti, solo il 99%, quindi meno i negazionisti estremi!!) insistono sulla necessità di un’azione rapida. In queste condizioni, ci soccorre un altro detto: “Chi ha tempo non aspetti tempo”. E non siamo neanche all’ecologia estrema, siamo solo al buon senso!

Saperenetwork è...

Tommaso D'Alessio
Tommaso D'Alessio
Ambientalista da sempre, che ha letto, all’epoca, il libro I limiti dello sviluppo, e quindi sta aspettando la catastrofe da 50 anni. Ma nonostante tutto, visto che serve Pensare globalmente Agire localmente, affligge chi gli sta vicino con l’intento di ridurre i consumi, di tutto: cibo, acqua, energia etc. e non cessa di operare per il miglioramento dell’ambiente, soprattutto urbano, nel contesto di Legambiente. È Presidente del Circolo Garbatella di Legambiente che dal 2012 ha in affidamento il Parco Garbatella in Roma, un’area di 40.000 m2, che il Circolo gestisce senza nessun contributo da parte del Comune. Da queste pluriennali esperienze ha avviato la sua strada di ambientalista estremo.

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