Giorgio Celli

Giorgio Celli si è interrogato sulla complessa tessitura del sapere, sulle relazioni fra cultura scientifica e umanistica

Giorgio Celli e la rivisitazione critica del mondo

Il ricordo del celebre entomologo a dieci anni dalla sua scomparsa. Un ricercatore, uno scienziato, che divulgava attraverso le emozioni, l’ammirazione e la conoscenza della bellezza della natura. Convinto che tra scienza e arte non dovessero esserci confini, ma solo continue connessioni

GIORGIO CELLI, 10 ANNI DOPO: SEGUI ALLE 16.00 L’EVENTO ON-LINE

Leggi tutto il dossier con gli interventi di Anna Stella Dolcetti, Micaela Ovale, Mafalda Restelli, Elisa Rossi e Francesca Signoria. Coordinamento di Rosy Battaglia 

Testo di Anna Stella Dolcetti

Ricorrono dieci anni dalla scomparsa di Giorgio Celli, un esploratore di scienza e di arte. Una produzione feconda tra cultura scientifica e umanistica, in un continuo interrogarsi sulla complessa interrelazione del sapere, ha saputo tracciare punti di snodo determinanti, giuste coordinate da seguire, innescando svolte radicali nel modo di leggere e di interpretare i fenomeni naturali. A partire dal suo ruolo di entomologo e al suo chiedersi a cosa serva l’entomologia. Rispose a questa domanda in un articolo apparso su La Stampa il 5 Settembre 2007. Ben distante dallo stereotipo del cacciatore di farfalle, l’entomologo ha il dovere di rivolgere la sua attenzione a problemi che lo stesso Celli non esitò a definire “giganteschi”: i cambiamenti climatici, l’inquinamento ambientale e il ruolo, cruciale, che gli insetti hanno da sempre svolto in questi contesti.

All’Università di Bologna ricoprì la cattedra di Tecniche di lotta biologica e lotta integrata agli insetti dannosi e fondò la prima biofabbrica italiana per la produzione di insetti da dedicare alla lotta biologica.

Ma l’impegno per  affermare i metodi alternativi, “soffici”, deve nutrirsi, oltre che di innovazione, anche di cultura e di una buona dose di coraggio politico per appoggiare con forza soluzioni nuove ed efficaci che la scienza mette a disposizione. A questo proposito, Celli affermava:

 

Giorgio Celli fondò all’Università di Bologna la cattedra di Tecniche di lotta biologica e lotta integrata agli insetti dannosi

«Evidentemente, le multinazionali della chimica non hanno mai visto di buon occhio queste attività alternative ai pesticidi e tendono a screditarle come inefficienti. Ma la lotta biologica funziona e, per crescere, avrebbe bisogno di una volontà politica ambientalista».

Comunicare scienza, trasmettere emozioni

E l’ambientalismo Giorgio Celli lo viveva riscoprendo la natura nel quotidiano. Scopo di molti suoi testi divulgativi fu infatti raccontare la biodiversità sotto i nostri occhi e le meraviglie racchiuse nelle vite, solo apparentemente piccole e semplici, di api, farfalle, coccinelle e maggiolini. Desideroso di trasmettere i frutti delle sue ricerche, non poteva rinunciare a stuzzicare la fantasia, consapevole che l’immaginazione è spesso motore essenziale della scienza ed è anche importante leva delle emozioni umane, a loro volta fondamentali per la creazione di relazioni profonde con il mondo naturale. È così che leggendo i suoi testi possiamo ancora oggi perderci in un mondo meraviglioso, di insetti che percepiscono “odori quadrati” e farfalle che “assaggiano” con le zampe, libellule che si rivelano abili in statistica e molte altre stranezze. Poiché “la vita è sempre più complicata di quanto i ricercatori scientifici si augurerebbero” e la natura (e la meraviglia) sono “dietro l’angolo della strada”. Celli fu anche scrittore. Nel ruolo di innovatore nel campo della letteratura del dissenso, aderì alle istanze del Gruppo 63, caposcuola dell’Avanguardia poetica degli anni Sessanta del Novecento e trasformò il costume letterario e politico del dopoguerra. In un clima di sperimentazione narrativa e di intersezione tra le arti, collaborò con Corrado Costa, Antonio Porta e Adriano Spatola al convegno fondativo di Palermo del 1963 e alla rivista Malebolge, ricostruendo le complicate trame che intrecciano letteratura e biologia.

La sua unicità emerse anche nella scoperta della poesia, che si fece azzardo nel complesso e complicato linguaggio lirico, arricchito di continui rimandi a termini scientifici. Non fu un poeta romantico, non si rifece mai agli schemi della tradizione, bensì creò toni suggestivi ed efficaci: una “poesia della ragione”.

 

Tra ricerca, divulgazione e arte

E anche nel suo vivere la scienza si votò sempre alla ricerca di commistioni: più che essere semplicemente scienziato, scelse di coltivare con passione e impegno il suo ruolo di “maestro” della natura. Al rigore dell’informazione scientifica, trasferita con logica freddezza, contrappose la capacità di lasciar emergere la bellezza nascosta, senza rinunciare a un pizzico di ironia. Il suo ruolo di divulgatore fu sempre portato avanti con quella certezza sensibile con cui raccontava lo spiegarsi dei fenomeni, la realtà oggettiva, la mutazione, l’evoluzione. Quasi che nel linguaggio del mondo fosse custodito un processo dialettico di proposizione e negazione, che lo portò a esaminare la relazione interna tra verità e conoscenza, tra indicibile ed esperienza.

 

Giorgio Celli
Giorgio Celli aderì alle istanze del Gruppo 63, caposcuola dell’Avanguardia poetica degli anni Sessanta esplorando le relazioni che legano letteratura e biologia

Conoscere era per lui la possibilità di cogliere la realtà oggettiva, le relazioni interne che legano i vari fenomeni naturali, il procedimento di organizzazione, il funzionamento e la rappresentazione. L’amore di Giorgio Celli per la natura si tramutò inoltre in impegno politico, quando nel 1999 entrò a far parte del gruppo Verdi/Alleanza Libera Europea.

Nelle discussioni in aula a Bruxelles, egli si dedicò a promuovere attivamente i temi della biodiversità e del rapporto tra comunità umane e ambiente naturale, contribuendo a caldeggiare il punto di vista della scienza, ma non dei profitti legati a determinate ricerche scientifiche. Chi era dunque Giorgio Celli? Non ricercava etichette: come un moderno uomo rinascimentale, mentre gli altri tentavano di incasellarlo in rigide definizioni, si rivedeva in tutte e in nessuna: «Per i poeti ero un grande scienziato, per gli scienziati ero un letterato; i filosofi spiritualisti mi consideravano uno scienziato materialista, dai materialisti ero considerato, invece, uno scienziato con aperture non consentite verso la metafisica» affermava in un’intervista resa all’amico Claudio Beghelli. Amava perdersi nella gioia di scrivere e immaginare il teatro, la poesia, il cinema, per poi dedicarsi alla ricerca etologica ed entomologica, alle pubblicazioni scientifiche e alla sua opera di divulgazione. Nessun confine, nessuna contraddizione nella ricerca di risposte e di connessioni.

Dieci anni dalla sua scomparsa ma la sua memoria è sempre viva: un tesoro di insegnamenti, una traccia, una guida, il coraggio di una parola che non deve essere dimenticata.


L’articolo è stato realizzato nell’ambito del Corso di giornalismo ambientale e culturale di Sapereambiente. Workshop a cura di Rosy Battaglia.

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